La rivolta razziale di Sly & The Family Stone
Fu un tale successo che impedì a Led Zeppelin IV di arrivare al primo posto della classifica USA

Una bandiera americana a stelle e strisce: che il seguace delle Black Panthers Sly Stone sia diventato un patriota? No, a guardarla bene si vede che al posto del blu c’è il nero e che le stelle sono soli. Sly la spiegò dicendo che voleva comprendere tutti: il nero è l’assenza di colore, il bianco li comprende tutti, ed il rosso è il sangue, quello che tutti abbiamo uguale. E il sole? E’ quello che c’è sempre e ti guarda: le stelle sono desideri, incertezze, ricerche… Avevamo lasciato Sly nel ’69 al tempo di Stand e della sua esibizione di Woodstock: musica danzereccia e abbastanza gioiosa. Ma le cose peggiorarono: lui stava sviluppando una forte dipendenza dall’eroina, ed aveva forti pressioni di militanza da parte delle Pantere, che addirittura volevano che sostituisse i membri bianchi del suo gruppo. In pratica questo disco lo incise quasi da solo, con drum machines e altri aiuti, e quando chiamava gli altri a suonare li convocava uno ad uno: registrazioni di gruppo non ce ne sono. Un suono torbido, fangoso (come fu definito), con punti in cui è addirittura difficile capire i testi. In fondo ben coerente con il suo senso profondo: ma quale ballare per le strade… il decennio per la comunità nera sarà duro e difficile. Disco molto importante, che ebbe tale successo da impedire a Led Zeppelin IV di arrivare in cima alle classifiche USA.
Curiosità: il titolo originale scelto per questo album era “Africa talks to you”, ma quando mesi prima Marvin Gaye, come avevamo visto, smosse il mondo chiedendo What’s goin’ on, Sly decise di rispondergli. Cosa sta succedendo? Sta succedendo una rivolta…
La rubrica 50 anni fa la musica
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