Gli stipendi “irregolari” a sindaco e giunta di Gallarate che dovranno essere restituiti
Sono frutto di un errore del 2008, che ora impone la restituzione a 16 persone. Il Comune ha voluto approfondire, ma adesso c'è la parola definitiva

Il sindaco Cassani e gli assessori passati in cinque anni nella sua giunta dovranno restituire il 10% dei compensi ottenuti nell’arco del mandato, perché calcolati in modo errato per un errore risalente al 2008.
Mentre l’ex sindaco Guenzani dovrà restituire solo una quota del “TFR” maturato nei cinque anni alla guida della città.
La questione è emersa a marzo 2021, ma a distanza di un anno si è arrivati alla parola definitiva, dopo che il Comune ha fatto una serie di approfondimenti che però hanno confermato la irregolarità delle retribuzioni di sindaco e giunta.
La vicenda è piuttosto complicata, a cominciare dal punto di parte. A marzo del 2021 il Ministero Economia e Finanze ha inviato al Comune l’esito della “verifica amministrativo contabile”, con l’elenco “delle irregolarità di maggior rilievo emerse”. Il documento criticava in particolare la gestione delle società partecipate Accam e Amsc e del controllo da parte del Comune sulle due aziende di cui era socia (lo sappiamo dai documenti ufficiali pubblicati sul sito del Comune , dopo che erano anche sollecitati dal consigliere Massimo Gnocchi, che aveva fatto un accesso agli atti).
Esaminando i compensi dell’amministratore di Amsc (parametro su quello del sindaco) gli ispettori del MEF avevano poi posto attenzione alle indennità (gli stipendi, nel linguaggio comune) del primo cittadino e dei suoi assessori, contestando la “irregolare quantificazione, a partire dell’anno 2000, delle indennità di carica degli amministratori comunali e delle indennità di fine mandato riconosciuta ai sindaci” nonché del presidente di Amsc.
Senza dilungarsi in riferimenti, il calcolo derivava da una votazione del 2008 in consiglio comunale, in era Mucci, che aveva adeguato le indennità, portandole a 4338,24 euro lordi per il sindaco e a scalare a 3253,68 euro per il vice, a 2602,95 per assessori e presidente del consiglio comunale, a 2602,95 per il difensore civico, a 58,60 euro a seduta per consigliere comunale (di solito si facevano 1-2 consigli al mese). L’atto era stato approvato dalla maggioranza di centrodestra, contro aveva votato il centrosinistra, mentre i tre consiglieri dell’allora Lega Nord – all’opposizione – si erano astenuti. Attenzione: non si è trattata di una scelta dolosa, di un atto illegittimo, ma di un errore di calcolo generato dal “sovrapporsi” di due normative (non entriamo nel tecnico).
La richiesta di un parere a novembre 2021
Fin qui le cose di 14 anni fa, in era Mucci. Da qui dobbiamo fare un salto al 1° settembre 2021: in questa data il Comune ha mandato una nota per ribadire che l’atto deliberativo del 2008 “continua ad apparire legittimo come legittima appare la determinazione ancora vigente dell’indennità del Sindaco” e quelle che, a cascata, venivano parametrate su quella del primo cittadino.
Fin qui la vicenda è rimasta confinata agli uffici comunali e al solo sindaco, senza che venisse ufficializzata. Dopo che il MEF ha confermato a settembre la richiesta di restituzione degli importi al Comune, a novembre però il Comune ha chiesto un parere legale ed è qui che per la prima volta si è visto un atto ufficiale: per un giorno e mezzo sull’albo pretorio è comparso l’affidamento dell’incarico per redigere un parere legale, che però è poi scomparso (la pubblicazione è stata annullata “per errore materiale”, poi si sono addotte questioni di privacy).
La questione incompatibilità
Questa serie di passaggi hanno un po’ agitato le stanze di Palazzo Borghi, per l’importo da restituire ma soprattutto per un aspetto particolare: il rischio di incompatibilità tra la carica di amministratore e le pendenze con il Comune,
Era questo uno dei questiti richiesti anche nel parere legale. Secondo i consulenti incaricati ritengono che “incorrono in una fattispecie di incompatibilità […] gli Amministratori comunali che il Comune costituirà in mora per il pagamento dell’indebito in questione”.
Chi deve restituire il 10% degli stipendi
Calcolata la prescrizione intervenuta per gli amministratori di antica data (giunta Mucci), alla fine sono 16 le persone a cui il Comune chiederà indietro il 10% degli stipendi
si ritiene che – alla luce della giurisprudenza della materia – la oggettiva messa a disposizione dell’Ente delle somme in questione possa essere tenuta in considerazione in occasione della ripetizione delle somme indebitamente erogate nei termini esposti nel parere. Si parla del sindaco Andrea Cassani e dei vari assessori passati negli ultimi sei anni nella sua giunta: Claudia Mazzetti e Francesca Caruso che sono ancora in carica (rispettivamente attuale ed ex vicesindaco), poi ci sono gli ex Paolo Bonicalzi, Orietta Liccati, Francesco Liccati, Moreno Carù, Isabella Peroni e Alessandro Petrone, transitati dalla giunta e poi usciti per varie vicende (sfiducia, dimissioni, terremoto Mensa dei Poveri). Nella giunta Cassani “reloaded” erano invece entrati Andrea Zibetti, Sandro Rech e i tre civici, vale a dire Massimo Palazzi, Stefano Robiati e Stefania Cribioli.
E la precedente giunta di centrosinistra? Come detto la giunta Guenzani si era autoridotto lo stipendio del 20%, non destinando una parte a beneficienza, ma restituendolo direttamente al Comune. Il parere legale dice che “la oggettiva messa a disposizione dell’Ente delle somme in questione possa essere tenuta in considerazione in occasione della ripetizione delle somme indebitamente erogate nei termini esposti nel parere”. In sostanza: visto che avevano già ridotto lo stipendio autonomamente, le somme sono già acquisite.
Come finisce la vicenda
Della giunta di centrosinistra solo una persona deve restituire una cifra: si tratta dell’ex sindaco Edoardo Guenzani, che deve ridare una parte della “indennità di fine mandato”, che si può considerare un po’ il TFR dei sindaci. Ecco: il TFR di Guenzani era stato calcolato sulla retribuzione errata e quindi risultava un po’ più alto.
L’errato calcolo non è finito nel tritacarne delle polemiche politiche perché si è trattato – appunto- di un errore, di cui il livello politico era inconsapevole (e anche i dirigenti del resto). Alla fine se n’è parlato per sei mesi perché lo stesso Comune ha richiesto il parere pro-veritate per assicurarsi di quantificare esattamente chi e quanto dovesse restituire.
E alla fine proprio sul parere legale e suoi costi si è appuntata l’unica esplicita critica politica, quella di Massimo Gnocchi che ha appunto contestato «i 45mila euro spesi in pareri per una vicenda da 110mila euro». La pubblicazione degli atti completi della vicenda ha anche ri-portato anche in primo piano il tema della gestione di Amsc, risalendo fino agli “anni d’oro” in cui l’azienda – guidata allora da Nino Caianiello – era il vero centro di potere gallaratese e il campo di battaglia dei furibondi scontri che finirono per chiudere (con manovra “a tenaglia” dell’allora Lega Nord e del centrosinistra) l’era del monocolore di Forza Italia.
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