L’America degli Steely Dan
Il loro secondo disco confermò che erano una grande band

Secondo album degli Steely Dan, con Donald Fagen che si convince di poter essere sempre lui il cantante e congeda David Palmer che aveva cantato parte del disco di esordio. Ovviamente si tratta di un lavoro più completo ma gli ingredienti restano quelli: un rock abbastanza mainstream di base, ma arricchito con molti spunti derivati dal jazz, vera passione del duo Fagen/Becker. Ed anche i temi dei testi restano gli stessi: è questa visione di un’America come una grande Las Vegas, che vede nella loro adottiva Los Angeles una concentrazione di tutti i suoi difetti. Come ad esempio la contraddizione evocata dal titolo, dove un approccio molto confuso alla spiritualità porta a pretendere un conto alla rovescia per raggiungere l’estasi. Countdown non vendette moltissimo, certamente meno dell’esordio, anche per la mancanza di un vero hit da classifica che invece non mancherà nel disco successivo. Ottimo disco comunque, per una band che non sbaglierà un colpo.
Curiosità: My Old School parla di una retata per droga avvenuta nel 1969 al Bard College, frequentato sia da Fagen che da Becker. Il primo finì fra i 44 arrestati e in prigione gli tagliarono i capelli a zero: normale che nella canzone prometta di non mettere mai più piede in quella scuola. Non mantenne però la promessa, perché nel 1985 ci tornò per ricevere una laurea Honoris Causa.
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