Roberto Saviano a Varese: “Grazie a chi non ha avuto paura ad invitarmi”
Il giornalista e scrittore ha portato ai Giardini Estensi il recital "Appartenere - Vita intima del potere criminale": posti tutti occupati e un pubblico che lo ha accolto con stima e affetto
È raro trovare un pubblico così attento e coinvolto. Roberto Saviano nella serata di giovedì 25 luglio è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico dei Giardini Estensi per due ore di fila. Il giornalista e scrittore ha portato in città il suo ultimo spettacolo e mentre fuori, a pochi chilometri dal suo palcoscenico, veniva appeso uno striscione di insulti nei suoi confronti, un’altra Varese lo ha accolto con stima e affetto.
«Laddove c’è la parola, quella è casa mia. Mi hanno invitato qui a Varese a raccontare, quindi sono a casa. L’idea che possano essere loro a decidere chi entra e chi esce mi fa orrore. Quindi doppiamente felice di essere qui ai Gardini Estensi di Varese», ha dichiarato all’Ansa rispetto all’accaduto.
La serata programmata all’interno del Varese Summer Festival è stata un’occasione per ascoltare le sue parole e riscoprirne la forza e il valore. Sul palcoscenico c’è una scrivania e uno schermo, niente di più. «Sono contento che il sindaco, l’assessore, l’organizzatore di questo evento non abbiano avuto paura ad invitarmi. Non è scontato, sono grato di esser in questo posto così bello, suggestivo e magico», dice Roberto Saviano prima di iniziare un monologo che porterà il pubblico attraverso un viaggio nella vita intima del potere criminale.
Dove un bacio, il gesto più intimo e romantico, si trasforma in un messaggio in codice. Dove i matrimoni vengono combinati per potere. Dove le donne, spesso, sono vittime e carnefici di un sistema criminale basato su un codice antico che non può essere violato. Un sistema dove la vita viene sacrificata per la scalata al potere. C’è tanto, tantissimo nello spettacolo di Roberto Saviano.
Ogni racconto è un piccolo capito che si potrebbe approfondire per ore. «Questo spettacolo ha versioni diverse, la prima di un’ora e mezza, l’altra di tre ore e poi c’è quella che prevede di fare l’alba. Quale volete?», domanda al suo pubblico scherzando.
Uno spettacolo che tocca nomi noti alle cronache come quello di Tommaso Buscetta, Totò Riina, racconta di Matteo Messina Denaro e del suo ultimo periodo di latitanza tra donne e sesso, la storia di Vito Arena e Joey Lee, due omosessuali usciti dalla mafia perché Cosa Nostra non vuole i gay. La storia Maria Concetta Cacciola che pagherà con la vita, si uccide ingerendo acido muriatico, la decisione di vivere la sua sessualità in modo libero. La storia del baby boss Emanuele Sibillo che alla festa dei suoi diciotto anni dirà agli amici “festeggiatemi tanto, morirò presto”. Tante storie per indagare il sistema mafioso.
Al centro dei questo lungo monologo però non ci sono solo le storie degli altri, c’è anche la vita personale di Roberto Saviano che si ferma a raccontare la solitudine che si è trovato e tutt’ora si trova ad affrontare. “Perché lo fai? Me lo chiedono spesso, me l’hanno chiesto anche i camorristi di cui ho scritto. Soprattutto all’inizio della mia professione nessuno riusciva a capire perché raccontassi fatti di cui nessuno voleva sentiere parlare. E quando è uscito Gomorra (libro trovato in molti covi di malavitosi), in molti hanno preferito infangare il mio nome piuttosto che denunciare un sistema criminale che entra nelle vite di molti, dal piccolo imprenditore agli appalti enormi”.
Lo spettacolo è coinvolgente e verso il finale Roberto Saviano si ferma a ricordare anche l’aspetto sociale della parola “appartenenza” con la canzone di Giorgio Gaber. Poi saluta il pubblico leggendo un estratto di “Lettera a D. Storia di un amore” di Andrea Gorz per raccontare che l’appartenere può essere anche una condizione molto bella.
«Le mie parole sopravvivono anche al disastro che sono diventato», dice durante lo spettacolo, ricordano una vita sotto scorta che non l’ha mai fermato nel raccontare.
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