“Occhio perché ci sono quelli della Bravo”, i messaggi in codice dei pusher in Valganna
È alle battute finali un processo che vede a vario titolo diversi imputati per un traffico di droga fra l'Alpe Tedesco e Montegrino Valtravaglia. I “capi“ e le vedette, con ruoli che spesso si invertivano quando c'era da dare l'allarme

In più punti nelle requisitorie che hanno a che fare con lo spaccio nei boschi, dunque nelle richieste di pena dei pubblici ministeri, si fa riferimento alla “organizzazione”. Spesso una parola non imputabile a significati squisitamente giuridici (vedi associazione a delinquere) ma solo in termini di una divisione i compiti “di fatto“, quindi la detenzione, la contrattazione e la vendita al dettaglio dello stupefacente nei boschi della droga. Tema dibattuto nelle aule di giustizia, e anche al centro di un intervento accolto da Varesenews da parte di addetti ai lavori per “alzare“ l’asticella investigativa su quanto avviene nella vendita al minuto specialmente di eroina e cocaina in certe aree defilate dell’Alto Varesotto.
Una premessa doverosa dal momento che è agli sgoccioli la fase preliminare di un processo che vede imputati a vario titolo una decina di soggetti chiamati a rispondere di spaccio di sostanze e stupefacenti: c’è chi, infatti, vendeva. E chi invece fiancheggiava, cioè soggetti residenti nelle zona di smercio delle sostanza che favorivano la vendita stessa della droga, un contesto dove le due facce della stessa medaglia cioè l’offerta e la domanda, si intrecciano.
Siamo in un contorno territoriale particolare, fatto di luoghi isolati e al contempo facilmente accessibili in un periodo in cui le prime indagini sullo spaccio nei boschi del Nord provincia stavano dando i loro effetti. L’indagine in questo caso risale al 2019 e riguarda uno specifico ridotto boschivo a cavallo fra le valli varesine fra l’Alpe Tedesco e Montegrino Valtravaglia passando per Cugliate Fabiasco e Valganna. Indagine, si accennava, che aveva a che fare col lavoro dell’Antidroga della polizia di Stato, emanazione della squadra Mobile fatta di specialisti delle indagini, mai semplici. Non facili per via del territorio, ma anche per la difficoltà di penetrare nel sistema fatto di comande via whatsapp, e trasporti di droga per a volte divisa in piccole quantità così da evitare incriminazioni legate allo smercio vero e proprio, facendo cioè ricadere la responsabilità non solo dell’acquirente, ma a volte anche dallo stesso venditore nell’alveo delle quantità per uso personale.
Proprio sulla china di questi elementi le indagini si sono mosse, sfruttando la più tradizionale delle metodologie, cioè l’intercettazione telefonica. Si parte da un compratore che viene fermato e parla, gli investigatori agiscono su confidenza e ottengono il benestare ad ascoltare alcune utenze. Sono quelle dei pusher, ma anche dei luogotenenti italiani: secondo i difensori si tratta di semplici consumatori che fanno favori e vengono pagati in droga; secondo l’accusa invece sono soggetti che avevano un ruolo, cioè mettevano a disposizione auto “pulite“ (poiché essi stessi incensurati) per sfuggire ai controlli e ai varchi di lettura targa; o addirittura, in alcuni casi, assicuravano copertura logistica, vedi appartamenti per far passare la notte agli spacciatori o ancora garantivano rifornimenti di generi di conforto direttamente nei boschi.
E proprio in una di queste intercettazioni sarebbe saltato fuori che non solo i luogotenenti fungevano da vedette e “pali“ per avvisare i pusher dell’arrivo delle forze dell’ordine. A volte i ruoli si invertivano ed erano i “capi“ ad avvisare i fiancheggiatori (probabilmente, questi ultimi, alla ricerca di dosi): «Non passate, non venite qui da noi perché ci sono in giro quelli della Bravo».
E chi sono «quelli della Bravo?». Gli agenti dell’antidroga di Varese o i colleghi di Luino che ai tempi – appunto il 2019 – per non dare nell’occhio impiegavano quel modello di auto per spostarsi, confondersi con i compratori. In tutto, fra le posizioni dibattute martedì davanti al gup di Varese, uno dei punger ha chiesto di accedere al rito abbreviato che già con lo sconto di un terzo di pena ha spinto la pm Maria Claudia Contni a chiedere quattro anni di pena detentiva e 17.300 euro di multa. Un secondo imputato ha fatto richiesta di patteggiamento. Le altre posizioni verranno discusse a settembre: le difese hanno fatto richiesta di proscioglimento; per la pm devono venire processate per accertare la responsabilità in una delle tante tessere del mosaico infinito dello spaccio nei boschi.
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