Dalla campagna al mare, Paul Giorgi racconta il suo Vernissage musicale

Paul Giorgi sta girando l'Italia con i brani del suo ultimo album, Vernissage. Un tour che lo ha portato anche a Suoni Lacustri, il festival che si è tenuto sulle rive del Lago Maggiore

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Ha un ciuffo di capelli ribelli che gli copre un po’ il viso Paul Giorgi e una delicatezza inconsueta per chi deve stare su un palcoscenico. Non è però l’atteggiamento di chi si vuole nascondere, piuttosto di chi ha una poetica tutta sua e la giusta dose di timidezza per lasciar parlare più le canzoni che tutto il resto.

Classe 1995, nato e cresciuto ad Ascoli Piceno, a poco più di mezz’ora dal mare (nel brano “Adriatico” canta “Ma c’è un mistero tra le tue mani /Tra i fari spenti e tutte le navi”), Paul Giorgi sta girando l’Italia con i brani del suo ultimo album, Vernissage. Un tour che lo ha portato anche a Suoni Lacustri, il festival che si è tenuto sulle rive del Lago Maggiore, a Sasso Moro di Leggiuno, qualche settimana fa.

È lì che abbiamo intercettato la sua musica, brani che sembrano unirsi come pezzi di un puzzle per comporre l’immaginario musicale di questo cantautore dall’Itpop leggero e curato. Brani che nella loro semplicità riescono a regalare un’esperienza d’ascolto ricca di sfumature.

L’album Vernissage, in particolare, uscito a gennaio con Factory Flaws e anticipato nei mesi precedenti da diversi singoli come “Anice”, “Sensazione”, “Adriatico”, è composto da dodici tracce e costruito come se si trattasse di album fotografico dove dentro ci si perde tra atmosfere e sensazioni diverse. Il suo album d’esordio invece è stato “Safari Pop” ed è del 2021. Un lavoro che ricorda il Bestiario Musicale di Lucio Corsi, se non altro per l’idea di usare il mondo animale come pretesto per raccontare l’animo umano.

«Quell’album è nato nel mio studio in campagna, osservando gli animali che mi giravano intorno», racconta Giorgi. Sottolineando come trascorrere del tempo in certi luoghi dia l’opportunità di osservare il mondo con occhi diversi, godere dei suoi ritmi e lasciare che influenzino suoni e testi delle canzoni. E questo, accade che si tratti delle campagne marchigiane o di quelle toscane.

Iniziano con il tuo nome, Paul Giorgi è un nome d’arte?
«È un nome d’arte anche se è molto simile al nome vero. Posso dire che ho scelto Paul perché sono un grande fan dei Beatles ma anche perché mia nonna è nata a San Paolo, in Brasile, e ogni volta che mi vedeva mi chiava Paulo».

Per il tuo ultimo album hai scelto il titolo Vernissage, come se invitassi le persone ad un percorso tra suoni e immagini. È questo il senso del titolo?
«Sicuramente. Per l’album Vernissage siamo andati per la strada più semplice e diretta: volevamo trovare un punto di incontro tra quello che è la musica e la parte visiva. Mi piace sempre immaginare la commistione tra queste due cose. Per l’album Safari Pop avevo scelto di mettere al centro gli animali, mentre in questo lavoro ho voluto immaginare di unire suono e immagine, per permettere agli ascoltatori di lasciare tutto fuori e immergersi completamente in questo album, così come capita a me quando sono in studio. Oggi dire qualcosa di nuovo è difficile, c’è sempre tanto e stupendo in giro, ma nel mio piccolo questo album è come se fosse la mia mostra, uno sguardo ai miei quadri. Tanto che ogni canzone è accompagnata da una immagine realizzata da Alessandro Calvaresi e sono immagini quasi in 3D dove la rugosità emerge, dando la sensazione di qualcosa di vivo».

Quanto regala e toglie la provincia per chi scrive canzoni?
«Sto sempre con il naso grande che mi trovo puntato su Milano, Roma e Bologna. Appena posso sono lì, la provincia spesso può andare stretta, ma ha un ritmo che si lega meglio alla musica o ad un tipo di musica. A volte nella frenesia e nel ritmo delle grandi città ho come l’impressione che sia difficile trovare il giusto respiro. Per questo la provincia ha lati positivi e negativi, aiuta a cogliere le piccole cose ma a volte si ha l’esigenza di posti con più ritmo».

Hai iniziato a studiare musica da bambino, quando hai iniziato anche a scrivere?
«A cinque anni ho iniziato a suonare le tastiere. Poi ho suonato in un quintetto jazz e scrivevo solo pezzi strumentali. Ho iniziato a scriverci sopra e mi sono reso conto di quello che mi piaceva, mi apparteneva e cosa no. Nelle mie storie c’è tanto di autobiografico ma ci sono anche storie di altri che faccio mie. C’è sempre un fondo di verità ma non tutte, per fortuna, mi riguardano».

Come è arrivato il contatto con Factoryflaws?
«Un po’ per contatti, un po’ perché mi stavo guardano in giro. Ho girato il materiale e loro sono stati abbastanza rapidi nel farsi sentire, quindi insieme abbiamo iniziato a costruire questa cosa. Mi hanno lasciato carta bianca e questo è molto importante. Quando la musica inizia a non avere più i ritmi umani vuol dire che le cose non vanno bene. Mi spaventa quella musica che viene presa come produzione seriale e non si prende i tempi giusti di maturazione».

Foto di Fabio Binda scattata a Sasso Moro di Leggiuno per Suoni Lacustri 

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Pubblicato il 09 Luglio 2025
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