Genio, pazzia e passione: il cuore nascosto dietro una startup miliardaria

Dal laboratorio universitario alle notti passate a scrivere codice, fino all’exit miliardaria: il racconto degli startupper varesini Andrea Carcano e Moreno Carullo

Economia varie

Andrea Carcano e Moreno Carullo, due quarantenni varesini, hanno fondato Nozomi Networks, azienda di cybersecurity industriale che ha conquistato la Silicon Valley e attirato l’attenzione di Mitsubishi, oggi azionista di maggioranza dopo una exit da un miliardo di dollari.
Nozomi Networks è stata inserita da Fast Company tra le aziende più innovative al mondo del 2025. Le sue tecnologie sono oggi adottate da operatori industriali strategici nei settori idrico, energetico, dei trasporti e della sanità.
La storia di questi due imprenditori innovativi inizia con un’amicizia nata all’università e proseguita nel tempo fino a oggi. Tanti sacrifici, notti passate a scrivere codice e tempo sottratto alla famiglia, ma soprattutto la capacità di credere in un’idea quando ancora sembrava una scommessa. (foto sopra, da destra: Carullo e Carcano durante la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Nozomi Networks)

Com’è nata l’idea che sta alla base di Nozomi Networks?
Andrea Carcano: «Ho lavorato sulla cybersecurity per tutto il mio percorso accademico, fino al PhD, prima sul lato “offensive” e poi “defensive” dell’industrial cybersecurity. Il dottorato risolveva un problema, non pensava a un’azienda. Già tra il 2008 e il 2009 , all’epoca del mio PhD, avevo coinvolto Moreno su alcuni punti: è il miglior sviluppatore che abbia mai conosciuto. Poi ho lavorato in Eni, viaggiando tra raffinerie e pipeline. Lì ho pensato: con quel progetto alcuni problemi si risolverebbero meglio. In azienda la risposta è stata chiara: “Facciamo oil & gas, non sviluppiamo un software così complesso in house”. Allora ho chiamato Moreno.»

Moreno Carullo: «Venivo da un Phd di ricerca in intelligenza artificiale e da un lavoro che mi aveva finanziato il dottorato. Non ero del tutto soddisfatto. Quando Andrea mi ha proposto il progetto, ho accettato subito. All’inizio è difficile distinguere tra genio e pazzia, ma mi fidavo. Abbiamo lavorato di sera e nei weekend, poi abbiamo tagliato il cordone con il “posto sicuro”, cioè a tempo indeterminato, per dedicarci solo al nostro progetto».

Nasce così Nozomi Networks. La fase iniziale è fatta di duro lavoro, i tempi della famiglia da bilanciare, e una decisione netta: trasformare un’idea in un prodotto scalabile.

Nella realizzazione della startup, quanto è contata la vostra amicizia?
Andrea Carcano: «Ha contato molto perché in questo percorso le emozioni sono altalenanti. È come stare sulle montagne russe: un giorno pensi di conquistare il mondo, il giorno dopo no. Da solo non ce l’avrei fatta: quando uno vede nero, l’altro tiene fermo il timone sulla rotta».

Come vi siete finanziati all’inizio?
Andrea Carcano: «All’inizio abbiamo messo diecimila euro a testa. In Italia, allora, ci rispondevano che aziende di cybersecurity nate qui non se ne vedevano. In questo periodo ci siamo mantenuti con le consulenze. Poi è arrivato un primo business angel: una presentazione andata male, la società disse no, ma una persona presente ci richiamò e investì a titolo personale. In seguito arrivò anche il primo investitore istituzionale, Giovanni Canetta di Planven, con circa un milione di euro».

Moreno Carullo: «Quando abbiamo detto che tra i nostri clienti c’erano Enel ed Eni, l’investitore ha verificato. Sentirsi confermare al telefono quella collaborazione ha fatto la differenza. Forse perché in giro ci sono anche tanti millantatori».

Durante quei primi passi, la Silicon Valley era già un vostro obiettivo? Perché era così importante arrivarci?
Andrea Carcano: «Nel nostro primo business plan, prima ancora della ragione sociale, c’era l’obiettivo di arrivarci entro cinque anni. Era l’approdo naturale perché sapevamo che i più bravi nel nostro mestiere stavano lì. Ci siamo arrivati anche prima».

Moreno Carullo: «Abbiamo trovato persone pronte ad ascoltare e venture capitalist preparati sul tema cyber. Il mercato dell’industrial cybersecurity non era ancora esploso, ma c’erano tutti gli indicatori che facevano intravedere le potenzialità reali di quel mercato: connettività in crescita per ragioni di efficienza e una maggiore propensione al rischio. Le domande che ci facevano erano sempre molto precise, segno di interesse e competenza».

L’ecosistema sviluppato nella baia di San Francisco funziona, ma non si copia: «In Silicon Valley c’è un sistema efficace, non riproducibile in tutto e per tutto in Italia, dove lo spirito è diverso», sottolineano i due imprenditori. Nella Valley californiana c’è una sorta di genius loci, una cultura dove capacità di rischio e desiderio di sperimentare il nuovo permeano l’intero sistema che supporta le nuove imprese.

C’è stato un momento in cui avete capito di avercela fatta, prima della exit naturalmente?
Moreno Carullo: «Non c’è l’interruttore on-off. C’è invece un playbook: costruire l’azienda sin dall’inizio per la miglior exit possibile, senza voler vendere a ogni costo. Quando il compratore sente che chi viene acquisito vuole assolutamente vendere non è un buon segnale. Si cresce indipendenti e si lavora perché qualcuno mostri interesse».

Andrea Carcano: «In questo percorso contano le milestone: il primo cliente, i primi investitori, l’ingresso in Silicon Valley, un round importante. Se ne salti una, manca un pezzo. E raggiungerne una, non garantisce di certo il resto.»

Un consiglio a chi vuole fondare una startup tecnologica?
Moreno Carullo: «Di consigli ne ho due. Primo: non fatelo solo per soldi, fallireste. Secondo: scegliete qualcosa che vi appassiona. Serviranno notti e anni di lavoro. Il progetto si realizza solo se ci credete davvero».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 16 Settembre 2025
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