Partire per aiutare: la verità dietro il sacrificio degli operatori umanitari
La memoria di Hussein Alnajjar, tredicesimo operatore di Medici Senza Frontiere ucciso a Gaza, apre la serata a Materia Spazio Libero. Testimonianze e racconti mettono a nudo il cuore dell’impegno umanitario: tra rischio, assenza, impotenza e ritorno

Hussein Alnajjar è il tredicesimo operatore di Medici Senza Frontiere morto a Gaza. La serata di mercoledì 17 settembre a Materia Spazio Libero si apre in sua memoria. Siamo costretti a guardare da vicino chi siano davvero queste persone: non solo medici, ma uomini e donne che hanno scelto di dedicare la loro vita a un impegno più grande, fatto di partenze, rinunce e desiderio di aiutare.
Il racconto non può che cominciare dai volti dell’aiuto umanitario, dai segni di chi vive tra assenza, incontri e impotenza, sentimenti inesprimibili. Chi parte lo fa spesso spinto da un trasporto profondo, dalla capacità di ascoltare se stessi e scegliere di aiutare gli altri, anche a costo di lasciare la propria famiglia. Ognuno ha la sua ragione: c’è chi parte inseguendo un sogno coltivato da sempre, chi non pensava mai di poterlo fare, chi sa già che non lo farà mai più, chi parte per i motivi sbagliati o con la famiglia al seguito, chi invece si prepara a ripartire nonostante tutto.
Le motivazioni sono tante e diverse. C’è chi pensa di salvare il mondo, chi vede nel volontariato una fuga, chi lo considera una forma di giustizia contro l’ingiustizia. Non si tratta di pietà, ma di un profondo senso di umanità, senza il quale non si può lavorare in una grande organizzazione internazionale. Per alcuni è un modo di trovare lavoro all’estero, per altri è la ragione stessa della vita.
Il filo che lega queste storie è fragile e al tempo stesso potente. Nel 2016, per esempio, qualcuno ha scelto di partire per la prima volta e oggi, a distanza di anni, continua a confermare quella decisione. «È bello avere qualcuno fisicamente accanto quando serve»: questa la ragione del volontariato dell’anestesista Luca Blesi, ospite della serata. «Oggi sono 20 mila i decessi sulle strade europee e 300 i decessi di operatori umanitari nel mondo, statisticamente è più rischioso camminare per strada» sorride. «Non tutti sono medici: l’organizzazione forma persone con compiti specifici, affidando incarichi anche a chi non ha titoli di studio attraverso il cosiddetto task shifting. È un mondo fatto di barriere linguistiche, di situazioni bizzarre e uniche che chiedono di agire e reagire sul momento. La frustrazione è spesso la sfida più difficile da affrontare, insieme alle critiche. Bisogna imparare a distinguere quelle costruttive dalle altre, senza farsi abbattere».
Dietro ogni operatore umanitario c’è dunque una storia personale, intima, segnata da esitazioni, sogni, paure e coraggio. Una storia che ci ricorda che l’impegno umanitario non nasce dall’eroismo, ma dall’umanità.
La presenza alla serata dell’organizzazione di MSF avviene non solo grazie al dottor Blesi ma anche a Antenna Varese che nel 2024 ha lanciato l’iniziativa Biscotti senza frontiere. «Un gesto semplice, nato per raccogliere fondi e sensibilizzare la comunità, che sarà riproposto anche quest’anno il 18 e il 19 ottobre», sono loro a portare in agorà la proiezione del docufilm e si pongono interrogativi sull’aiuto umanitario.
L’aiuto umanitario è… (tratto dalla proiezione “Egoisti per scelta”)
Rischio.
«Si può perdere tutto o non perdere nulla… C’è il rischio di sbagliare, di non essere all’altezza, lasciarsi sopraffare come in ogni lavoro pericoloso… Ho paura come tutti… Penso che la paura di morire ci sia… Chi lavora sa del rischio di lasciarci la pelle, lo accettiamo… Non era meglio prima, era diverso, ora il fronte è molto diluito… Non è come i ragazzi che partono a 30 anni e hanno ancora tutta la vita davanti… Corriamo rischi se quello che facciamo è abbastanza per giustificarli… Avere un kalashnikov alla tempia fa paura… Accumulo traumi come una millefoglie… Ci sono momenti in cui ti dici o la va o la spacca… Il primo bombardamento 20 anni fa mi perseguita ancora adesso… Le cose che mi ha raccontato superano l’immaginazione, avevo le lacrime agli occhi da quanto era inimmaginabile… È come essere spostati: una volta che hai firmato puoi essere mandato ovunque… Gli operatori umanitari sono come dei soldati, sono orgogliosa di lui… Quando sono tornato a casa mia mamma era sorpresa di trovarmi in buona salute».
Impotenza.
«Sentirsi utili è quello a cui tutti aspirano… C’è l’immensità della miseria… Siamo impotenti anche di fronte al nostro stesso impegno che credevamo così utile… Possiamo fare la differenza per qualcuno, è già qualcosa… Abbiamo potere sulla situazione… È come un piccolo cerotto su una grande ferita… Ci sono persone che potremmo aiutare ma non abbiamo abbastanza risorse».
Assenza.
«Il tempo non è uguale per chi parte e per chi resta… Missione, euforia, azione… Il tempo non passa mai giorno dopo giorno… È dura soprattutto per mio figlio più piccolo… A volte mia madre parte con mio padre e io resto coi nonni… Due settimane dopo mi richiama e mi dice “tranquilla ero solo nella foresta”… Ho lasciato mio figlio quando aveva un anno e quattro mesi… Non voglio perdermi delle cose per l’impegno umanitario… Mi è mancata la sua presenza… Comunico molto con la mia famiglia, faccio i compiti la domenica con mia nipote… Trovo che anche mancarsi sia una bella cosa».
Incontri.
«Quelli che aspettano quelli che sono partiti, quelli che non si sono salvati, tutti quelli incocciati in una missione o con uno sguardo… Riusciamo a divertirci insieme… Ti fa dimenticare la solitudine… Abbiamo uno spazio di vita comune da condividere… Ho conosciuto pazienti con passioni straordinarie… Devo avere delle barriere? Alla fine sono le emozioni a prevalere».
Ritorno.
«Avvisare o sorprendere? il ritorno non è mai improvvisato… Per chi è rimasto è la fine tanto attesa… C’è lo shock del ritorno: due mondi che cozzano l’uno contro l’altro e non si confondono mai… Preferisco mantenere l’intimità della sofferenza… Per me è atroce, non posso raccontarlo a mia moglie… Racconto tutto ma a persone differenti… Per me è stata un’esperienza così forte che voglio cercare di fissarla».
È.
Argomento sensibile, di riflessione e di azione.
Egoismo e altruismo sullo stesso piano, perché egoisti saremmo noi a impedirle di partire.
Egoista da parte dei nostri amici impedirci di portare gioia altrove.
Difficile far vivere questa esperienza ai nostri figli che non l’hanno voluta.
Egoista perché è una mia conquista personale.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
DavideCastronno su "Chiediamo ad Anas di abbattere i ruderi all'ingresso di Varese"
ccerfo su Ogni domenica contro l'orrore, a Varese la protesta che non si ferma
Alberto Gelosia su Anche questa domenica si scende in piazza a Varese per la Palestina
Angelomarchione su Gioia varesina in Olanda: la squadra di "Anima" trionfa alla Color Guard 2025
Fabio Rocchi su "Mio figlio di 7 anni allontanato dall'oratorio di Gorla Maggiore perché musulmano"
fracode su Anche questa domenica si scende in piazza a Varese per la Palestina
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.