Addio alla gita di maturità, ma non per tutti. Studenti delusi al “Ferraris” di Varese
La storica tradizione del viaggio di fine ciclo salta per la mancata disponibilità dei docenti: poche classi partiranno, le altre restano a terra tra amarezza e senso di ingiustizia

«A pochi mesi dalla maturità, ciò che doveva essere un ricordo comune e positivo, lascia spazio a un sentimento di esclusione difficile da dimenticare». Questo virgolettato è un piccolo stralcio di una lettera di uno studente del liceo scientifico Galileo Ferraris di Varese giunto alla fine del ciclo di studi. Il tema è la gita di classe. Una sorta di rito conclusivo di una bellissima stagione che segna anche l’inizio di una nuova vita proiettata verso le scelte dell’età adulta. Un momento di passaggio importante destinato a rimanere nella memoria e nei racconti di chi lo ha vissuto. La delusione di questo studente e dei suoi compagni di classe è dunque più che comprensibile.
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Quella che per anni è stata una tradizione intoccabile, la gita di fine ciclo, è stata di fatto annullata, generando delusione, amarezza e un profondo senso di ingiustizia. La dirigenza, invece di coordinare una gita per tutti, come di consuetudine, ha delegato ai singoli consigli di classe il compito di occuparsi dell’organizzazione della stessa. Una decisione che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto semplificare la gestione, ma che di fatto ha prodotto l’effetto opposto: caos, disparità e disillusione. In molti consigli di classe, infatti, i docenti non hanno dato disponibilità ad accompagnare gli studenti, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per scarso coinvolgimento. Il risultato è che delle dodici classi dell’ultimo anno solo una piccola parte partirà per la desiderata gita: una classe è già stata in Portogallo, un’altra volerà a Washington per un progetto, e due sezioni hanno trovato accompagnatori all’interno del consiglio di classe. Le altre purtroppo resteranno a terra, senza programmi e senza alternative.
In una scuola pubblica che per anni ha costruito il mito della gita di quinta come momento simbolico e conclusivo del percorso liceale, questa gestione ha creato una frattura evidente tra gli studenti.
Chi ha avuto – in qualche senso – fortuna, partirà, gli altri resteranno spettatori, con la sensazione di valere meno dei compagni delle sezioni privilegiate. Il danno non è solo organizzativo, ma soprattutto emotivo e simbolico: non si tratta semplicemente di un viaggio mancato, ma della perdita di un’occasione formativa, di un’esperienza attesa e condivisa, di un rito che segna la chiusura di cinque anni impegnativi, che rimarranno nella memoria degli adulti di domani.
Molti studenti parlano di amarezza, frustrazione e umiliazione, osservando che l’istituzione scolastica, invece di unire, ha diviso, creando di fatto studenti di serie A e studenti di serie B.
La domanda che sorge è inevitabile: è accettabile che, in una scuola pubblica, diritti e opportunità dipendano dalla fortuna di avere docenti disponibili e da altri fattori contingenti? È giusto che una tradizione consolidata venga cancellata senza un’alternativa equa e condivisa?
A pochi mesi dalla maturità, ciò che doveva essere un ricordo comune e positivo, lascia spazio a un sentimento di esclusione difficile da dimenticare.
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