“Fu un gravissimo errore”: trentatre anni fa la sentenza che liberò Adamoli da Tangentopoli
L'ex esponente della Democrazia Cristiana ripercorre le tappe del processo che lo vide assolto con formula piena dopo l'arresto del 1992 definendo quell'atto giudiziario un errore palese
Giuseppe Adamoli, vedanese, classe 1941, è stato uno degli “arresti eccellenti” di Mani Pulite, e anche uno dei più grossi errori del pool giudiziario: l’allora consigliere regionale – e assessore regionale ai lavori pubblici – varesino fu arrestato il 24 novembre del 1992 con l’accusa di aver favorito un’azienda, e restò a san Vittore 4 giorni, salvo poi essere assolto pienamente per non avere commesso il fatto, due anni dopo. Un arresto davanti a moglie e figli, che ha frenato la sua carriera politica in grande ascesa, ma che non ha spento la sua passione: rieletto in Regione nel 2000, ha ripreso per altre due legislature, firmando lo statuto della Lombardia. In un testo carico di memoria e riflessioni, Adamoli ripercorre oggi quei momenti, dalla cella di San Vittore fino alla firma dello Statuto della Lombardia:
QUEL 23 DICEMBRE. LA MIA SENTENZA LIBERATORIA
di Giuseppe Adamoli
E’ il 1994, vado a Milano in tribunale l’anti vigilia di Natale per la sentenza che mi riguarda. Mi accompagna mia figlia Francesca di 22 anni, prima trepidante e alla fine raggiante. Mia moglie Carmen e nostro figlio Roberto sono a casa in una logorante attesa.
L’interminabile giornata corre sul filo di un’incrollabile fiducia non esente però da qualche rapido sentimento tumultuoso. E’ la fine di un seguitissimo processo che vede imputati di gran nome, fra gli altri, PAOLO BERLUSCONI, CARLO RADICE FOSSATI, MAURIZIO PRADA che saranno condannati. Per il “maledetto” ordine alfabetico lo chiamano “Processo Adamoli e altri” ed è un tormento in più per i due anni della sua durata.
La mia carriera politica è finita – così penso in quel momento – con le mie volontarie dimissioni dopo l’arresto e tre soli giorni di detenzione. Dopo l’eccezionale immediato interrogatorio di PIERCAMILLO DAVIGO in carcere, il prof. ANGELO GIARDA mi consola così: “Vede, la vogliono mandare a casa il più presto possibile”.
Da parte mia è completamente accantonata la vita politica benché molti amici fra cui MINO MARTINAZZOLI e, a Varese, l’On. LUIGI MICHELE GALLI, il Sen. ARISTIDE MARCHETTI e il Sen. GIUSEPPE ZAMBERLETTI, mi dicano sempre che non avrei mai dovuto dare le dimissioni dal Consiglio regionale.
In questa fase poco m’importa che due anni prima fossi sul punto di essere eletto presidente della Regione tanto che il programma su cui, dopo qualche settimana viene eletta presidente FIORELLA GHILARDOTTI, porta il mio nome. Ormai conta solo la decisione dei giudici che arriva nel primo pomeriggio.
L’entusiasmo è straripante, prima l’abbraccio infinito con Francesca e poi con il mio difensore prof. GIARDA. E poi non so con chi – abbraccerei anche il demonio. La chiamata telefonica a Carmen che profondamente si commuove dopo un’intera giornata in apprensione, non è la fine delle emozioni.
Le prime parole dopo il verdetto del prof. GIARDA di cui ho un bellissimo ricordo per la sua umanità e vicinanza personale sono queste: “E adesso non pensi al possibile ricorso dell’accusa. Non lo faranno mai. Si sono resi conto di aver commesso un gravissimo errore. Nella bolgia del 1992 poteva trarre in inganno il suo ruolo centrale in Lombardia, ma non avrebbero mai dovuto portarla a processo”. Me lo dirà poi lo stesso ANTONIO DI PIETRO in qualche occasionale incontro a Varese.
Riconosco volentieri che la stampa e le Tv si sono comportate correttamente nei miei confronti senza proclamare condanne affrettate e anticipate. Dopo i titoloni dei primi giorni prendono anzi un indirizzo di prudente e positiva attesa. L’assoluzione è resa pubblica dai media in modo efficace.
Conservo ancora un articolo del nuovo direttore della Prealpina di Varese, GIGI GERVASUTTI, che non avevo mai incontrato. In veste di caporedattore del Giorno, a Milano, aveva seguito da vicino la Tangentopoli del 1992. Nel dicembre 1993, a meta cammino processuale quando non sono stato ancora interrogato (lo farà ANTONIO DI PIETRO e tutti i presenti diranno che l’ho messo in fortissimo imbarazzo), scrive sul suo giornale parole toccanti di stima e fiducia nella mia assoluzione: “Sono testimone della considerazione che godeva a Milano, persona e storia di uomo e politico perbene”.
Il seguito è noto a chi segue un poco le vicende pubbliche o anche solo questo blog. Nel 2000 MARTINAZZOLI mi convince a candidarmi in Regione e, pur rappresentando un partito di circa l’1,5% in provincia di Varese, vengo eletto quasi a sorpresa. E’ la seconda assoluzione, stavolta popolare, a cui tengo moltissimo e sono subito nominato nella presidenza del Consiglio regionale accanto ad ATTILIO FONTANA.
Nel 2005, dopo la mia rielezione, ROBERTO FORMIGONI mi chiede di presiedere i lavori per lo Statuto regionale falliti per due volte nella precedente legislatura. Per dirmi che sono d’accordo mi chiamano anche UMBERTO BOSSI e GIANCARLO GIORGETTI. Il primo a fare il mio nome in Consiglio regionale è però CARLO MONGUZZI dei Verdi, ancora oggi attivissimo a Milano: “Se volete approvare lo Statuto, come ci chiede la Corte costituzionale, chiamate Adamoli alla presidenza anche se è alla vostra opposizione”.
Nel 2010 decido di non candidarmi più pur essendo sulla cresta dell’onda per l’approvazione dello Statuto e del Regolamento regionale. Pochi credono che non mi sarei più presentato e così lo rendo definitivamente noto qualche mese prima delle elezioni in una affollatissima conferenza stampa.
È una delle decisioni di cui vado più fiero per la necessità del ricambio politico e perché è bene andarsene quando moltissimi ti chiedono ancora di restare.
Ho avuto una lunga e assai impegnativa vita pubblica di cui ringrazio infinitamente i miei elettori da record imbattuto. Sono soddisfatto, confermo oggi, di non aver più accettato altre lusinghiere cariche pubbliche.
Giuseppe Adamoli
Mani Pulite 20 anni fa, quando le tangenti facevano vergognare
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