Gesù, l’enigma storico e il silenzio della cultura italiana
Dal monopolio teologico dopo l’Unità d’Italia alla necessità di leggere Gesù nel suo contesto: l’analisi dello scrittore Gilberto Squizzato e il bisogno di una cultura laica capace di interrogarsi

Il nuovo libro del giornalista e regista Gilberto Squizzato “Il sovversivo di Nazareth” (La conversione dell’operaio che non voleva essere il messia) pubblicato da Gabrielli Editore, è stato presentato dall’autore allo Spazio Libero di Materia, a Castronno.
Chi è stato, storicamente, Gesù di Nazareth? È perché è così importante indagare questo aspetto? Sono queste le riflessioni poste da Squizzato che da studioso laico ha dedicato una vita intera alla ricerca attorno alla figura di Gesù.
L’ABOLIZIONE DELL’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA
L’autore per spiegare la sua scelta parte da un dato storico abbastanza recente e poco discusso. Nel 1861, con l’Unità d’Italia, il nuovo Regno scelse di eliminare l’insegnamento della teologia dalle università pubbliche. Sembra un paradosso, ma quella decisione fece comodo anche alla Chiesa, che da quel momento poté gestire in esclusiva la formazione religiosa all’interno dei propri istituti, senza interferenze esterne.
Il risultato è stato un isolamento reciproco: il pensiero laico ha perso quasi del tutto il contatto con la teologia e con gli strumenti per analizzare criticamente le fonti religiose, mentre la riflessione ecclesiastica è rimasta autoreferenziale.
A differenza di altri Paesi europei e degli Stati Uniti, dove teologi e storici laici hanno dato contributi rilevanti allo studio della figura di Gesù, in Italia questa tradizione è praticamente assente.
Su questo punto ha replicato il teologo Marco Vergottini, presente tra il pubblico e chiamato in causa dal moderatore della serata, che ha specificato: «Per inquadrare la scelta di abolire l’insegnamento della teologia nelle università italiane, bisogna anche quantificare: erano in tutto dodici e contavano solo nove studenti».

CONTESTUALIZZARE I VANGELI
Nel nuovo libro Squizzato propone una rilettura dei Vangeli alla luce del contesto storico, sociale, politico ed economico del tempo. I Vangeli, ricorda, sono stati scritti tra i 40 e i 70 anni dopo la morte di Gesù, in un periodo di dura repressione da parte dell’Impero romano. Non sono cronache giornalistiche, né biografie in senso moderno: sono testi di fede, redatti per trasmettere una visione, ma non per documentare con esattezza eventi o dialoghi. La figura di Gesù che emerge dalla lettura storica è quella di un artigiano galileo, cresciuto in una regione marginale, sottoposta a una triplice tassazione (al tempio, a Erode Antipa e a Roma), in un contesto segnato da forti diseguaglianze e da una repressione feroce verso ogni forma di dissenso.
L’INCONTRO DI GESÙ CON GIOVANNI BATTISTA
In questo contesto è l’incontro con Giovanni Battista a rappresenta un passaggio fondamentale: Gesù si fa battezzare, si affianca a un movimento di resistenza spirituale e politica, ma poi se ne distacca, scegliendo una via personale, lontana tanto dal nazionalismo identitario quanto dal collaborazionismo del tempio. Squizzato sottolinea come molte parole e gesti attribuiti a Gesù abbiano senso solo se collocati nel loro tempo. La condanna del divorzio, ad esempio, non nasce da una morale astratta, ma dalla denuncia di una legge asimmetrica che permetteva solo agli uomini di ripudiare la moglie. Il gesto di salvare l’adultera non è un atto di clemenza generica, ma una contestazione precisa di un sistema che puniva solo le donne. Le beatitudini non parlano di “poveri di spirito”, ma di chi non ha più fiato per respirare: un riferimento concreto alla miseria materiale e alla sottomissione quotidiana.
ANCHE CHI NON CREDE DEVE CONOSCERE
Gesù non è un semplice predicatore, ma un uomo che vive da fuggiasco, braccato, che parla a un popolo di disoccupati, donne marginalizzate, ammalati e braccianti. È in questo contesto che assume senso anche il suo rapporto con il potere: non un messia trionfante, ma un testimone di una sovversione sociale, che mette in discussione le fondamenta della gerarchia religiosa e politica. Che rimane oggi di quella figura? È ancora possibile parlarne senza ridurla a simbolo teologico o a mito svuotato? Per Squizzato la risposta è sì, a patto di restituire Gesù al suo tempo e di riaprire, anche in ambito laico, uno spazio di ricerca, senza adesione fideistica, ma anche senza rifiuti pregiudiziali. Perché – sostiene – conoscere è un atto necessario, anche per chi non crede.
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