Allevi: “La politica ha rifiutato la mia musica”

L'erede artistico di Keith Jarrett, il talento italiano del pianoforte, oggi è osannato da tutti. Ma quando sette anni fa arrivò a Milano ricevette la porta in faccia dai politici. Sabato 31 marzo sarà in concerto al Teatro Apollonio

Giovanni Allevi da Ascoli Piceno, 38 anni  (li compirà il prossimo 9 aprile), una carriera e una capigliatura da fare invidia a chiunque. I suoi dischi vendono come quelli delle band inglesi, anzi di più, con la differenza che nei suoi ci sono solo le sue mani lunghe e un pianoforte. Il segreto? Anni di studio matto e disperatissimo e la scelta di abbandonarsi alle emozioni, parlare al cuore della gente. I fan lo assediano come se fosse una rock star e lui li ammalia a suon di note e discorsi ispirati. Una vita fatta di musica e sogni. Un modello da seguire per molti ragazzi che affidano il loro destino al pentagramma.

Allevi,  nelle interviste lei  appare sempre come  una persona buona, disponibile, un po’ timida, che si dà agli altri senza riserve. La poetessa Alda Merini dice che chi è troppo buono è poco umano. Giovanni Allevi è veramente così buono?
«Io sono anche cattivo, ma la mia parte di cattiveria la rivolgo contro me stesso. Sono un giudice della mia persona molto severo».

Ha due diplomi al conservatorio, in pianoforte e in composizione, a cui ha aggiunto anche una laurea in filosofia. Lei appartiene a una élite culturale, ma la sua musica parla alla massa, al cuore del grande pubblico. Come ha maturato questa scelta?
«Non è un passaggio così naturale. Ci vuole molto coraggio per uscire dalla torre d’avorio, dove peraltro ci sono rimasto per circa 20 anni. Questo passaggio però è pericoloso perché uscire fuori da quel sistema significa uscire da un potere che spesso viene usato per secondi fini. Insomma, per dirla con una battuta: Luciano Berio si è chiuso nella sua torre d’avorio io ho scelto di vivere nel mio monolocale di Milano in mezzo al caos e allo smog».

Uno che ha creduto in Giovanni Allevi, fin dall’inizio, è stato Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Vi sentite ancora?
«Purtroppo ho perso le sue tracce nel 2003. Ci scambiamo qualche volta degli sms. Io ho deciso di camminare da solo perché se volevo brillare della mia luce non potevo vivere vicino a una pop star».

Su di lei circolano molti aneddoti, tra cui alcuni riguardanti i suoi tic e le sue manie. Ad esempio, si racconta che lei abbia mangiato pasta con il tonno per un anno o che prima di ogni concerto si conceda una fetta di torta al cioccolato. Io l’ho vista in concerto con una camicia a righe e poi ho notato che l’aveva indossata in molte trasmissioni televisive. Forse era solo un caso. Quanto c’è di vero e quanto di costruito per alimentare il mito Allevi?
«Io sono una persona ansiosa. L’ansia e lo stress sono due elementi onnipresenti della mia personalità. Le azioni ripetitive mi danno l’illusione di lenire l’ansia perché decidere, quando non si tratta di argomenti musicali, mi crea stress. Ecco perché, ad esempio,  quando cammino per Milano tendo a fare gli stessi percorsi. Oppure  quando devo scegliere un vestito lo faccio fare al mio staff, per me l’importante è che si chiudano i bottoni. La scelta richiede un impiego di energia».

 

Matematica e musica, un connubio di cui si parla molto. Il logico matematico Douglas R. Hofstadter ha parlato di queste connessioni nel suo libro “Gödel, Escher e Bach”. Du Sautoy parlando dell’ipotesi di Riemann sui numeri primi affronta il problema partendo dalle note musicali. Cosa pensa di questa coincidenza tra arte e scienza?
«Nel pensiero contemporaneo sono emersi tutti i limiti della scienza e il connubio tra musica e matematica c’è sempre stato. Io penso che la musica abbia il potere di mettere in comunicazione l’uomo con le sue emozioni più profonde, perché l’arte e la musica sono molto presenti nella vita dell’uomo, più di quanto si pensi. Io ho studiato composizione al conservatorio di Milano che ha rappresentato per molti anni l’ultima roccaforte del discorso matematico in musica. C’è stato un eccesso, soprattutto negli anni ’60 e ’70, perché la matematica prevaleva sulla musica, anzi era la gabbia entro cui mettere le note. Io stesso utilizzavo le serie di Fibonacci nei miei studi sul ritmo. Nel disco “No concept” ho preso le distanze da tutta questa razionalità».

Qual è il suo rapporto con la politica? E se dovesse associare un motivo a Prodi e Berlusconi, che cosa sceglierebbe?
«A entrambi dedicherei Papageno l’uccellatore di Mozart. Penso, però, che la musica debba stare ben lontana dalla politica».

Perché?
«Quando arrivai a Milano, cioè nel 2000, nella difficoltà di emergere pensai che forse agganciare la politica potesse essermi utile. Allora ho preparato due pacchi con dentro i miei dischi e li ho spediti ai responsabili di entrambi gli schieramenti. Mi rispose solo la segretaria di una delle due parti – non mi chieda quale – dicendomi che si era appassionata alla mia musica. Mi diede un appuntamento e quando fui nel suo ufficio mi disse: “Giovanni non è possibile, perché la tua musica non è funzionale al controllo sociale”. È il discorso del potere di cui parlavamo all’inizio».

L’estate scorsa, nel concerto a Villa Arconati,  ha presentato un pezzo inedito che avrebbe poi  inserito in “Joy”. Al primo ascolto mi è sembrato un po’ ripetitivo, insomma sullo stile “No concept”, poi invece ne ho apprezzato la complessità. Quando si ha molto successo con un disco il rischio di ripetersi è molto alto.
«Io ho sempre cercato di evitare la ripetitività che nell’arte è un fatto di comodità. Avevo però paura di fare un flop, perché “Joy” contiene una certa difficoltà di ascolto. Invece, ha superato le 50 mila copie di vendita. E il disco d’oro ha posto fine alla querelle. Noi siamo un po’ figli del minimalismo, che fa della ripetizione uno dei suoi elementi forti, e della dodecafonia dove c’è totale assenza di ripetizione».

“Io non compongo. La musica viene a trovarmi, bussa alla mia testa”. È una sua affermazione. Un po’ forte. Lei parla come se fosse “un unto del signore”, mettendo in ombra la fatica, lo studio che invece sono importanti.
«Lo so. Però per me è così. La musica è una realtà ontologica, a sé stante. È come se fossi in contatto con una realtà metafisica. Io vedo il mondo con gli occhi della musica, la realtà è fatta di entità fluide come le note».

Qual è la domanda che avrebbe voluto sentirsi fare e che nessuno le ha mai fatto?
«Domande tecniche sulla mia musica. In genere i giornalisti si fermano alla fenomenologia Allevi».

Il suo libro preferito?
«”La critica della ragion pura” di Kant. L’ho letto quando preparavo l’esame di filosofia teoretica. È una sorta di Beethoven della filosofia »

E il film?
«”Shine”. Spero solo di non diventare pazzo come il protagonista».

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Il 31 marzo (inizio ore 21 e 15) Giovanni Allevi sarà in concerto al Teatro Apollonio di Varese

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Pubblicato il 29 Marzo 2007
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