“Dagòs”, una storia di destini incrociati

Un romanzo e un saggio sulla figura di Mario D'Agostino, comandante della 24ma brigata nera di Savona. Autori del libro lo storico Franco Giannantoni e il giudice Ottavio D'Agostino

«Per molti anni l’ho visto in una foto, nel tinello della nostra casa di Napoli. Io e mio fratello la guardavamo con un certa soggezione, come si guarda ad un eroe. Di mio zio sapevo solo ciò che mia madre ci diceva: ‘l’hanno giustiziato’». A parlare è Ottavio D’Agostino, giudice del tribunale di Varese e autore del romanzo "Sono un fascista, fucilatemi!" (Edizioni Arterigere/Essezeta), ispirato alla vita dello zio paterno, Mario D’Agostino. Quella figura famigliare, dallo sguardo severo e fiero, con il pizzetto alla Balbo, rimarrà nel ricordo della sua infanzia, attraverserà gli anni della giovinezza, per emergere prepotentemente, dopo molti anni, in tutta la sua cruda verità: Mario D’Agostino era stato il comandante della 34ma brigata nera a Savona ed era stato fucilato dai partigiani vicino a Reggio Emilia.
(foto sopra, da sinistra: Ottavio D’agostino, Carlo Scardeoni e Franco Giannantoni)

La vita fa il suo corso. Il giovane studente napoletano di giurisprudenza, nel frattempo, diventa giudice e inizia una carriera che lo porterà a Varese, dove tuttora fa il gip. Più passa il tempo e più i sentimenti e le emozioni, legati a quel ricordo infantile e a quella vicenda mai chiarita fino in fondo, riemergono prorompenti, spingendo Ottavio D’Agostino sulle tracce della Storia. Dopo alcune ricerche condotte attraverso i canali ufficiali, dove riceve risposte quasi sempre evasive, sarà il destino a riservargli una sorpresa: su una bancarella troverà un libro che racconta dei caduti della Repubblica sociale italiana nella provincia di Savona. Tra quei nomi e quei fatti c’è anche quello di suo zio Mario: classe 1906, uomo appartenente all’alta borghesia napoletana, laureato in scienze economiche e di provata fede fascista. Quanto basta per fare una carriera folgorante.
Nel settembre del ’43 D’Agostino è nella cittadina ligure con l’incarico di sindacalista, perché crede ancora nella carica rivoluzionaria del partito fascista. La socializzazione delle imprese è uno dei cardini per il rilancio della politica della repubblica sociale e Savona, con i suoi cantieri navali e le sue fabbriche siderurgiche, è un banco di prova importante.

Il secondo incontro determinante per la ricostruzione della sua storia famigliare è quello che il giudice fa con lo storico della Resistenza e giornalista Franco Giannantoni, che, coinvolto nella ricerca, curerà, nella seconda parte del libro, un saggio dal titolo: "Il comandante Dagòs: dal miraggio della socializzazione alla tragedia delle brigata nera". Due appartenenze e due visioni politiche diverse, ma entrambe animate dalla ricerca della verità. «Di Giannantoni avevo letto il libro "Gianna e Neri" – racconta Ottavio D’Agostino – una storia che mi aveva colpito molto per alcuni punti in comune con quella di mio zio, seppur da visuali politiche diverse, e per la ricostruzione coraggiosa fatta da Giannantoni». Il manoscritto prende corpo. Tre capitoli sono stati già scritti, ma il magistrato lo tiene chiuso nel cassetto, facendolo leggere solo ad alcune persone fidate, tra cui lo storico della Resistenza. Una storia così non lascia indifferente Giannantoni, che subito si mette sulle tracce del comandante della 34ma brigata nera. I pochi frammenti conosciuti della storia di Mario D’Agostino vengono così ricomposti, fino a quando la vicenda inizia a delinearsi più chiaramente nei suoi contorni.

Nel maggio del ’44, dopo aver lasciato il sindacato, Mario D’Agostino diventa federale di Savona e, con la militarizzazione del partito, comandante della 34ma brigata nera. I partigiani colpiscono dalle montagne e gli alleati si fanno sentire con l’artiglieria. Il comandante della 34ma perde i suoi migliori collaboratori e, in un’escalation di sangue vertiginosa, andrà incontro al proprio drammatico destino, firmando cinque condanne a morte contro altrettanti giovani partigiani.
Mario D’Agostino ha lasciato la moglie a Reggio Emilia e nel settembre del ’44 decide di rischiare un viaggio con la sua Balilla per andarla a riabbracciare. «In quel periodo – spiega il giudice – mio zio affronta un viaggio pericolosissimo per arrivare da Corinna Grappi, la moglie, come se non avesse percezione del rischio a cui andava incontro. Reggio Emilia era una zona piena di gappisti. Era il luogo meno adatto dove andare».
Il legame tra Mario D’Agostino e Corinna Grappi è fortissimo, testimoniato anche da una foto, riprodotta nel libro, in cui i due sguardi si cercano con grande intensità.

Il 10 settembre del ‘44 il comandante viene intercettato e catturato da un nucleo di gappisti che, nel giro di tre giorni, lo processano e lo giustiziano in una località sull’Appennino Emiliano. I testimoni diranno che D’Agostino morirà "da forte", con dignità, senza rinnegare il suo passato. Incalzato dai giudici del tribunale garibaldino, dirà: «Sono un fascista, fucilatemi».

Lo storico e il giudice continuano a cercare. Setacciano gli archivi, compresi quelli delle parrocchie, alla ricerca di documenti e improbabili testimonianze dirette, quelle ancora possibili. Le domande importanti senza una risposta sono almeno due: dove è stato giustiziato Mario D’Agostino e dov’è la sua tomba. Risposte che arriveranno da due testimonianze inaspettate: quella di una donna quasi centenaria, che ricorda un missionario slavo che era andato al bosco del Pizzone per dare la benedizione al condannato, e quella di Ermes Grappi, cugino gappista della moglie di Dagòs, che un giorno incrocerà casualmente la strada di Franco Giannantoni e Ottavio D’Agostino, conducendoli sulla tomba di Mario e Corinna.


Ottavio D’Agostino, Franco Giannantoni
"Sono un fascista, fucilatemi!"- "Comandante dagòs: dal miraggio della socializzazione alla tragedia della brigata nera"
Arterigere-Essezeta
Varese
Euro12
pp. 304, 34 tavole fotografiche

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Pubblicato il 03 Dicembre 2004
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