La crisi del tessile non la superi solo con i soldi
Industriali e sindacati concordano sulla necessità di affiancare politiche di ricollocamento al sostegno ai redditi
È stata una lunga mattinata di dibattito quella di stamattina alla LIUC di Castellanza, conclusa dall’intervento del ministro Maroni. Con Marco Sartori, presidente di Italia Lavoro, a fare gli onori di casa, hanno sfilato sul palco esperti ed esponenti del mondo dell’industria e del sindacato, analizzando cause e rimedi della nerissima crisi in cui si dibatte il settore tessile italiano. Dopo il saluto introduttivo del rettore Gianfranco Rebora il professor Rodolfo Helg, direttore dell’istituto di economia della LIUC, ha analizzato lo shock da globalizzazione vissuto dal settore tessile. "La globalizzazione polarizza i redditi, sucitando forte scontento tra le masse: occorre far capire che c’è chi è in grado di riequilibrare la situazione" osserva Helg. Il pubblico entra in gioco là dove il mercato fallisce, ad esempio con le mancate riassunzioni del personale licenziato a seguito di crisi e cambiamenti assortiti. "In Francia e in Germania si è già introdotta la wage insurance, o assicuraizone sullo stipendio, che incentiva ad un rapido reimpiego dei lavoratori; recentemente in sede UE si è anche lanciata la proposta di un Fondo Mondiale d’aggiustamento per gli effetti della globalizzazione". Quanto al sistema italiano, il giudizio degli economisti è impietoso: Sapir, economista e collaboratore di Mario Monti a Bruxelles, ha classificato il sitema italiano fra quelli "inefficenti ed ingiusti": inefficiente per la distinzione data dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori fra aziende con più e meno di 15 dipendenti, ingiusto per per la mancanza di ammortizzatori sociali per le piccole aziende.
L’imprenditore cotoniero Rino Bonomi ha ricordato che il tessile dà ancora 12 miliardi di euro di attivo annuale alla bilancia commerciale italiana: "sono altri a creare il disavanzo". Per Bonomi i dazi esistono: ma mentre sulle importazioni dall’Asia non superano mai il 10%, quelli asiatici sulle importazioni dall’Europa raggiungono il 30%, e via dicendo. "Non possiamo batterci con una mano legata dietro la schiena" dichiara Bonomi, prendendosela poi con l’Irap ("iniqua, pare fatta apposta per favorire la delocalizzazione") e i costi energetici: "paghiamo l’energia il 30% in più del normale, le aziende avrebbero diritto a pagare la bolletta quanto i concorrenti europei, scaricando il resto sulla collettività" azzarda.
È intervenuta in seguito Matilde Mancini, esponente del ministero del Welfare, che ha esposto le modalità del trasferimento di risorse agli enti locali per la ricollocazione, sottolineando che il lavoratore licenziato che non frequenta i corsi di riqualificazione o non accetta i lavori offerti andrebbe sanzionato con la perdita degli ammortizzatori sociali. Valeria Fedeli, segretaria generale di Filtea-Cgil, ha contestato il ritardo di imprenditori e politici nel capire cosa stava cambiando con la globalizzazione. "Il mondo è uno, e non esistono settori maturi. Quello che serve è una politica di sistema: non sono i singoli settori a competere, ma i sistemi economici dei vari Paesi". Sulla necessità di incrociare gli ammortizzatori sociali con la riqualificazione, nulla da dire, il sindacato è disponibile a discutere tutto: ma deve trattarsi di vera formazione, non fatta a casaccio, e non deve sfociare in un precariato umiliante. "A Maroni la Cgil chiederà il prolungamento della cassa integrazione ordinaria da 52 a 104 settimane" ha annunciato poi Fedeli. A seguire Massimo Giupponi per l’Agenzia Regionale del Lavoro e Rodolfo Giorgetti di Italia Lavoro – Lombardia hanno esposto i meccanismi di ricollocamento dei lavoratori lasciati a casa dalla crisi. Tra questi, notevole la Borsa Lavoro, che si propone l’obiettivo di mettere in contatto diretto offerta e domanda di lavoro, con crescente successo. Intanto, pur con un tasso di disoccupazione modesto (4%), la Lombardia ha visto i lavoratori in mobilità schizzare da 10.400 a 21.233 tra il 2001 e il 2005. Come osserva Giorgetti, "le risorse ci sono, e consistenti: se non si riesce a spenderle bene, è perchè il sistema è storto: non è con il semplice chiedere i soldi e basta (cassa integrazione e pedalare, ndr) che si risolvono i problemi". Infatti, anche secondo Giupponi le risorse, ottimizzate e sfruttate, consentirebbero di ricollocare circa il 50% dei lavoratori attualmente in mobilità: i margini di miglioramento sono dunque assai ampi.
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