Un varesino sulle tracce del falso terapeuta antianoressia
Vittorio Malagutti per il Corriere della Sera e L'Espresso, ha sollevato ben quattro anni fa il caso del "professor" Waldo Bernasconi
Ha cominciato ad occuparsi dell’affaire "Sana Vita" quattro anni fa: da allora ha ricevuto decine e decine di lettere da persone che volevano raccontargli le loro tristi esperienze, e altrettante che cercavano di convincerlo che l’opera di Waldo Bernasconi, psicoterapeuta senza titoli, inventore della "analisi neoreichiana" era meritoria, e aveva fatto del bene ai loro parenti e alle loro figlie, malate di anoressia o di bulimia.
Vittorio Malagutti, giornalista varesino, se n’è occupato prima per il Corriere e poi per L’Espresso, dello scandalo che ha colpito quella clinica per i disturbi alimentari che in Svizzera non era riconosciuta come tale: scoperchiando una vicenda dai contorni ambigui. «E’ nato tutto nel 2003: dalle dichiarazioni raccolte su quella clinica dal collega del quotidiano elvetico La Regione Daniele Fontana, con cui abbiamo cominciato a lavorare insieme fin da subito. Ci conoscevamo da tempo, abbiamo cercato di approfondire ognuno per la sua parte. Anche se la questione da capire era soprattutto capire i presunti maltrattamenti e gli abusi denunciati, e cercare di approfondire la natura dei metodi terapeutici originali applicati da quella struttura».
«La prima cosa che abbiamo cercato di fare è stato verificare le sue qualifiche professionali. E abbiamo scoperto che Bernasconi era iscritto all’ordine degli psicologi, in Toscana. Ma non era abilitato come psicoterapeuta. E per di più, in Svizzera il suo titolo non valeva nemmeno».
«Poi ci siamo domandati perché le sue pazienti erano solo italiane. Nessuna svizzera è mai andata nel suo centro di Lugano. E abbiamo scoperto questa cosa sconvolgente: che decine di Asl italiane finanziavano i soggiorni di molte ragazze. Seguendo una norma italiana per cui, nel caso in cui un paziente italiano non trovi cure adeguate nel territorio italiano lo Stato finanzia le cure in centri di eccellenza esteri. Peccato però che fosse un po’ arduo definire centro di eccellenza quello che in Svizzera era considerato semplicemente un centro benessere, come se fosse una di quelle spa di Messeguè».
La prima sorpresa dunque, è stata che le Asl pagavano il soggiorno alla clinica come un centro di eccellenza, che non era, aiutato dal fatto che negli altri centri specializzati i tempi d’attesa erano lunghissimi: «Invece grazie soprattutto alla propaganda via internet del forum Crisalide, erano in molti a rivolgersi al Sana Vita. La struttura luganese era formalmente indipendente da Crisalide, ma era il luogo dove prima o poi veniva convogliato il 90% di chi si rivolgeva al numero verde».
Ma la Sana Vita costava, e parecchio: «Se non c’erano i soldi intervenivano le Asl. Sennò, in altri casi, le famiglie si indebitavano. E alcune si sono rovinate. Senza contare il caso del ragazzo bulimico che non potendo pagare è stato assoldato come tuttofare. Faceva letteralmente di tutto, e ha lavorato quasi gratis per non ricevere quasi nemmeno quelle che loro consideravano cure».
Ma la fama della clinica aumentava sempre di più: «Questo giro era sostenuto da un tam tam notevole sui media italiani. Bernasconi è stato ospite in diverse tivù e ha avuto articoli entusiastici. Ho un archivio di questi articoli dell’epoca: sono uscite paginate intere dove la questione era "C’è un centro di eccellenza all’estero per l’anoressia ma le Asl non vogliono pagare"».
«Il primo articolo sulla clinica Sana Vita l’ho scritto per il Corriere nell’agosto 2003. Molti dei dubbi su quella struttura erano già stati espressi. Per l’Espresso ho scritto prima nel marzo 2004 e poi di nuovo nel febbraio del 2007. All’epoca del secondo articolo, finalmente, sembra che anche le autorità svizzere si sono mosse. E certamente bisogna ringraziare, per l’attenzione delle autorità cantonali, il lavoro dei colleghi svizzeri: non solo alla Regione, con cui ho al ungo lavorato, ma anche con la tivù pubblica, la Rtsi. Dopo l’articolo su L?Espresso del febbraio scorso, Bernasconi ha annunciato la chiusura della clinica Sana Vita "dopo le campagne negative contro di noi". Annunciando di farla risorgere come centro sulle malattie mentali». Il comunicato stampa del Sana Vita diceva testualmente che verrà considerata "l’opportunità di trasformare la casa di cura in stabilimento a indirizzo psichiatrico".
Quegli articoli non erano realizzati solo davanti a delle carte: «Abbiamo incontrato parecchie persone: la mamma della ragazza di Sondrio che si è suicidata nel settembre 2005 dopo un lungo soggiorno al Sana Vita, per esempio. Aveva tenuto un diario su quello che accadeva nella clinica e sui suoi rapporti con Bernasconi. Fino all’indagine di luglio della procura lariana era aperta un’altra struttura a Como, la cascina Respaù: «Era una struttura, per così dire, al servizio di quella svizzera: per terapie più leggere o in attesa di andare al sanavita. Si svolgevano anche i loro frequenti seminari, detti "I Weekend"». Attività note a pazienti di tutta Italia, anche di Varese.
Che oggi si dividono tra fans scatenati del "genio" e collaboratori di giustizia, dopo la scoperta del business scoperchiato dal varesino Vittorio Malagutti. Mentre Waldo Bernasconi, indagato in Italia, vive in Svizzera dove è l’ambasciatore onorario di Croazia. Cioè, si prepara a diventare intoccabile.
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