Quel “Furore nero” che travolse l’Italia democratica
Il nuovo romanzo del giudice Ottavio D'Agostino fa parte di una ideale trilogia. Una storia ambientata nella Milano liberata dai nazifascisti
Sconvolto e in preda ad un risentimento sempre più forte, Bruno Capurro, ragazzo di Salò, si aggira per una livida Milano, liberata e caotica, che ai gesti di gioia popolare per la fine di una tragedia accompagna sbrigativi regolamenti di conti che insanguinano gli angoli della città. Scene truci e sanguinarie sfilano davanti agli occhi del giovane: da “piazzale Loreto”, con i cadaveri di Mussolini e dei gerarchi linciati dalla folla esaltata, fino alle rivalse sui cadaveri delle ausiliarie e degli ex repubblichini. Sogni e illusioni di quando, insieme ad altri ventenni, andava “a cercar la bella morte”, tutto si è sciolto come neve al sole. All’ex allievo ufficiale Gnr non resta che trasformare l’astio che prova verso i vincitori in vera e propria ferocia, innescando così un processo che, nei primissimi anni della Repubblica, lo porterà all’appuntamento con la morte.
Non ha certo un tono revisionista o assolutorio la seconda fatica letteraria del giudice Ottavio D’Agostino, un volume dal titolo “Furore nero. Il tormento di un ‘orfano’ di Mussolini dalla Repubblica Sociale Italiana alla democrazia”, pubblicato dalle Edizioni Arterigere e con un saggio conclusivo dello storico e giornalista varesino Franco Giannantoni, che ci parla dei ventenni del ’43 con il noto rigore che gli è consueto. Una vicenda romanzata che prende spunto da un lontano incontro del giudice, ma che poggia su ampie e approfondite letture e procede con uno stile fluido e accattivante dall’inizio alla fine.
Nessuno sconto per il feroce protagonista del nuovo romanzo. Una fotografia nitida e precisa lo inquadra nel suo muoversi all’interno della galassia di gruppi e gruppuscoli neo-fascisti soprattutto romani, nostalgici e velleitari. Lui, da parte sua, non dissimula agghiaccianti giudizi sulla democrazia, non si pente della partecipazione alla fase più sanguinaria del fascismo italiano, non esita a fare attentati e ad usare la violenza come arma politica.
Un ritratto, quello che tratteggia D’Agostino, freddo, quasi documentaristico, che si sviluppa come un diario dall’agosto ’45 all’ottobre ’46 e si inserisce in un quadro epocale restituito con grande ricchezza di dettagli (degna di nota, nel quarto capitolo, la topografia della Varese nella notte di Salò).
A fare da contraltare al fanatico protagonista, una figura femminile di fantasia, Lisetta, di fede monarchica, che incalza il ragazzo, di cui si innamora, con una puntuale e severa memoria degli orrori dei quali si rese responsabile (o corresponsabile) il fascismo: la distruzione di partiti e sindacati, le infami leggi razziali del ’38, le stragi di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema, lo sterminio alla Risiera di San Sabba, le torture di via Tasso, il massacro delle Fosse Ardeatine. Ma l’affettuoso contraddittorio che la ragazza impone al recalcitrante protagonista, cade nel vuoto, scivola su una corazza fatta di rimozione, culto della violenza, sicura fede antidemocratica.
Se è fin troppo evidente che le lontane vicende, narrate da D’Agostino, riguardano tutti ancora oggi, in un clima che vede riaffiorare, con sempre maggiore frequenza, inquietanti rigurgiti di intolleranza e razzismo, certamente questo libro si pone contro una pacificazione semplicistica, non persegue una ricostruzione della storia fatta a colpi di luoghi comuni e di imbarazzati silenzi. Una salutare opera di verità è indispensabile premessa per ricostruire il passato, riconoscendo ad esempio, al contrario di quanto accade nel romanzo, in cui il protagonista contesta tale affermazione, che “il fascismo è il male assoluto”. Con le sfumature e i chiaroscuri che la vita di ognuno di noi custodisce.
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