Per l’ingiusta detenzione di Stefano Binda riconosciuto un indennizzo di 212 mila euro
L’importo iniziale richiesto, pari a 303 mila euro decurtato del 30%. Per la corte ci fu colpa lieve legata allusa condotta processuale
«Mi riservo di decidere un eventuale ricorso». Commenta così Stefano Binda, quasi a caldo, la decisione della Quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano che ha accolto la richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione presenta dai suoi legali.
Binda venne liberato dopo oltre tre anni di custodia cautelare in carcere dopo la pronuncia in Appello, una sentenza di assoluzione confermata poi in Cassazione dall’accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi.
Sentenze che ribaltarono la decisione dell’Assise di Varese e che aprirono la strada alla richiesta di un equo indennizzo per ingiusta detenzione presentata dai legali Patrizia Esposito e Sergio Martelli che solo sabato scorso è arrivata al dunque: dei 303 mila euro chiesti allo Stato per aver ingiustamente privato della libertà un cittadino i giudici di Milano accolgono l’istanza ma decurtata di un terzo, e quindi il computo si ferma a 212mila euro.
Nell’esporre il caso, la sentenza (collegio composto dal presidente Roberto Arnaldi e dai giudici Veronica Tallarida e Giulia Anna Messina) contiene la rapida disamina del fatto e delle indagini che portarono in carcere nel gennaio 2016 Binda raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere: se, da indagato, Binda rispose alle domande degli inquirenti, egli si avvalse della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio col Gip e dinanzi al Pm.
Ma è la successiva condotta processuale, durante dunque il processo a Varese, che viene ritenuta dai giudici di Milano viziata, dichiarazioni «confuse» che integrerebbero una condotta tale da integrare appunto profili di colpa lieve.
«Sto seriamente valutando il ricorso», ha commentato Stefano Binda che oggi si occupa di volontariato a beneficio dei carcerati con un associazione. «La decisione è basata sulla mia difesa che dicono confusa e incoerente. Peccato che venga valutata la sentenza di condanna, che come è noto è stata riformata». Saranno ora i suoi legali a valutare le prossime azioni da intraprendere.
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