Arcumeggia, la patria perduta dei pittori

Negli anni Sessanta era la meta di molti artisti famosi. Oggi la “Casa del Pittore” è deserta, l’uscio sprangato, c’è silenzio e un senso forte di abbandono, con la gente che ha fretta di scomparire dietro i muri, dopo un faticoso saluto

Si sale per tornanti ingentiliti dalle viole, che riempiono le rivette e i fossi assieme alla scilla e all’anemone, tra i primi a metter capolini in primavera. Il bosco è ancora sonnacchioso ma l’aria è già più fine e Arcumeggia una meta che porta il ricordo della fanciullezza, quando con papà e mamma si andava a vedere gli affreschi del Salvini e del Montanari e si passeggiava nelle viuzze a collo d’oca gustando una coppa Smeralda. Il fotografo Faoro ritraeva le celebrità di passaggio nel borgo e poi esponeva le foto nel suo negozio di Varese, la tv svizzera girava documentari sul “paese dei pittori”, Manlio Raffo, dinamico direttore dell’Ept, aveva un’idea al giorno per portare gente in Valcuvia. Erano i Sessanta e Arcumeggia, il cui nome pare derivi da “Arx media” rocca in mezzo a due valli, Valcuvia e Valtravaglia, viveva la sua epoca d’oro di luogo inventato e offerto alla cultura e allo svago. 

Oggi, in un giorno d’aprile, lo sguardo stenta a ritrovare quei profili, i colori, le voci. La “Casa del Pittore” è deserta, l’uscio sprangato, c’è silenzio e un senso forte di abbandono, con la gente di qui che ha fretta di scomparire dietro i muri, dopo un faticoso saluto. Qualche turista il sabato e la domenica, gente di passo in estate, il tempo di mangiare qualcosa nell’unico ristorante e poi via per qualche sentiero. Nulla trattiene il viandante, una mostra, un corso, una grigliata. I gatti accompagnano lungo il percorso dell’arte, un signore gentile arriva da Gemonio per nutrire la colonia di soriani e aprire ogni tanto la splendida casa di famiglia rimasta come un secolo fa, con gli attrezzi della vita contadina appesi nel porticato. «Arcumeggia è morta, non ci abita quasi più nessuno, ci sono soltanto case di vacanza e non tutte si rianimano nella bella stagione. Molte parole, è vero, promesse, ma gli affreschi cadono a pezzi e i restauri appaiono lontani», dice. 

 L’ultimo pittore ad affrescare un muro è stato Antonio Pedretti, nell’agosto del 2001, un monte Rosa lontano che domina il verdazzurro di Lombardia. «Un piccolo fuoco d’artificio, l’occasione per riparlare un po’ del paese dipinto, cocktail all’aperto, autorità e qualche artista, ma nulla di più concreto, magari un progetto nel segno della continuità, nonostante l’impegno della Comunità Montana della Valcuvia», racconta l’amico dei micioni. Camminare in questo museo all’aperto è come leggere un libro appassionante: vi si legge l’amore per l’arte e per l’incontro, il confronto tra artisti amici, lo sforzo per portare quassù Migneco e Guttuso, Brindisi e Funi, Menzio e Gentilini, Aldo Carpi e Umberto Faini, Montanari, Salvini, Sassu, Treccani… «Ho un bel ricordo delle mie estati ad Arcumeggia, ci venni nel 1974 per realizzare l’affresco intitolato “Composizione agreste”. Per quei tempi era un’esperienza assai positiva, c’era un bel clima, mi dispiace profondamente che quella strada si sia interrotta», dice Ernesto Treccani, l’ottantatreenne maestro del gruppo di “Corrente”. Il suo è uno degli affreschi meno deteriorati assieme al lavoro di Migneco, al contrario di quelli di Ferruccio Ferrazzi ed Enzo Morelli, piuttosto malconci.

 “La riscoperta di Arcumeggia avvenne ai primi del secolo da parte di modesti villeggianti milanesi che si contentavano di qualche stanza ariosa, del latte fresco e dell’aria pulita. (…) Le strade della Valcuvia conoscevano da qualche secolo la libera e fantasiosa attività degli affrescatori popolari. Paesi come Rancio e Cantevria erano cosparsi di affreschi lungo le vie e dentro i cortili, nei quali si ripeteva a fine devozionale e votivo la tradizionale iconografia cristiana consacrata nelle chiese”, scriveva Piero Chiara. Ogni passo riporta alla mente l’opera di quel gruppo di volonterosi che nel 1956 diedero vita a uno dei cento paesi dipinti italiani: i critici d’arte Vincenzo Costantini e Dino Villani, il pittore Arduino Nardella e l’avvocato Aldo Lozito, presidente del Circolo degli Artisti di Varese, nonché il presidente dell’Ept, Mario Beretta. Il primo artista ad aderire fu Giuseppe Montanari, finalmente ricordato da Varese con una bella mostra a villa Recalcati (fino al 27 aprile), poi Morelli, Usellini, Funi e Tomea, con Manlio Raffo a coordinare e organizzare incontri e poi mostre e corsi d’affresco, perfino la costruzione della “Casa del Pittore”, destinata ad offrire agli artisti un soggiorno piacevole e tranquillo. 

«L’idea di fare di Arcumeggia un paese dipinto non poté che solleticare l’estro dei pittori: l’affresco è un genere molto nobile, si ritornava un po’ al Rinascimento. Allora ero allievo di Carpi e con lui visitai il paesino della Valcuvia per la prima volta», ricorda il pittore milanese Umberto Faini. «Si respirava un’aria di grande fermento, la gente del posto partecipava con piacere, con gli artisti lavorava e dava consigli Pietro Cerini, provetto muratore che allora faceva il tassista, era una vacanza-lavoro piacevolissima, ci portavamo mogli e fidanzate, si mangiava e parlava d’arte. C’era, attraverso Usellini, un collegamento diretto con Brera e da lì venne l’impulso per i “corsi d’affresco” riservato ai dodici allievi che avevano frequentato con miglior profitto l’ultimo anno d’accademia nei vari istituti italiani». 

 Faini è tornato ad Arcumeggia nel 1994 per realizzare “Allegoria della decorazione murale”, un grande affresco su una parete di una casa di piazza Minoia e allestire una sua personale. «Lo inaugurammo a settembre assieme al lavoro della mia allieva Barbara Galbiati dedicato al “Bocc”, il caprone simbolo del posto. Nella mia opera ho voluto rendere omaggio alla tradizione del paese, quella di una scuola di provetti decoratori che spesso emigravano in Svizzera e in Francia. L’ultimo mio viaggio nel paese dipinto è di un anno e mezzo fa: ho tenuto una conferenza sulle tecniche di restauro dell’affresco, so che un giovane restauratore, Davide Ricciardi, sta lavorando per salvare il salvabile». 

Aligi Sassu, Umberto Faini, Gioxe De Micheli, Antonio Pedretti: gli ultimi pittori a confrontarsi con i vecchi muri del paese, con gli sguardi della gente e dei colleghi, con i colori dei monti e del cielo. Quarant’anni fa Usellini e i suoi tolsero l’arte dalle botteghe e la donarono al vento, che la lanciasse lontano con un messaggio di fratellanza e simpatia. Sognavano, quei pittori, di portare Picasso ad Arcumeggia, di vederlo al lavoro, su un ponteggio, con il “Pietro” a passargli la terra colorata. Di quella “fiera dei sogni” rimangono impronte sbiadite e fotografie in bianco e nero con qualcosa che oggi si è fatto sempre più raro: un sorriso.

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Pubblicato il 05 Aprile 2003
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