«Eravamo la generazione del dopoguerra, ci siamo rimboccati le maniche ed eravamo pieni di speranze». Franco Del Re (foto) ha 77 anni e ricorda come fosse ieri i 21 anni passati come responsabile di tutti i magazzini della Lesa, l’azienda di elettrodomestici che dagli anni ’50 agli anni ’70 ha dato da lavorare a oltre 700 persone e che è diventata famosa in tutta Italia per i suoi indimenticabili "mangiadischi" portatili, oggi mandati in soffitta, e fatti diventare oggetto da museo, dai piccoli lettori cd. I quegli anni a Tradate tutte le mattine, racconta Del Re, c’era un fiume di gente che andava a lavorare alla Lesa, più che alla Saporiti. Se si esclude la cartiera Mayer, era la più grossa azienda della zona. Nei prossimi mesi i capannoni della storica azienda saranno abbattuti e il terreno sarà oggetto di una riqualificazione. Nasceranno quasi 200 appartamenti e un grande parco pubblico. Un pezzo di storia di Tradate, e non solo, si trasforma. La Lesa, infatti, è stata una delle grandi protagoniste del boom economico degli anni ’60. «La domanda superava l’offerta e facevamo fatica a stare dietro alle ordinazioni – racconta Del Re con passione e nostalgia -. Eravamo nel periodo di massimo sviluppo, anche a livello nazionale»
Cosa produceva esattamente la Lesa? «Agli inizi, nei primi anni ’50, si producevano soprattutto potenziometri per radio, poi siamo passati ai piccoli elettrodomestici. E l’azienda ha cominciato a crescere a dismisura, ampliandosi e continuando ad assumere gente. Tostapane, frullini, giradisci con braccio di legno. Costruimmo anche i primi registratori».
E lo storico mangiadischi portatile… «Il mangiadischi portatile da 45 giri rimane indimenticabile. La gente se lo portava ovunque, in qualsiasi parte d’Italia si andasse ce n’era uno. Oggi, dopo l’arrivo dei cd, sono diventati dei veri pezzi da museo».
Poi cos’è successo all’azienda? «Abbiamo cavalcato il boom economico, fino all’arrivo delle produzioni dei giapponesi. Prima eravamo gli unici, non c’era concorrenza e consumare il prodotto nazionale era quello che andava per la maggiore. Poi, intorno al ’65 sono iniziati i primi problemi, e non solo alla Lesa».
Secondo lei a cosa si doveva tanto successo ottenuto dalla Lesa? «Eravamo la generazione del dopoguerra, eravamo tutti poco più che trentenni. Avevamo voglia di lavorare, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo dato una mano a rimettere in piedi tutto, a risollevarci. Avevamo un grande spirito di squadra. Inoltre, la Lesa era un’azienda sempre all’avanguardia. Basti pensare che già allora erano state realizzate sotto gli stabilimenti delle vasche di depurazione delle acque per mandare in fogna le acque pulite. Con le innovazioni, poi, si era sempre al passo con le esigenze del mercato».
Quando ripensa a quegli anni cosa le viene in mente? «La serenità che c’era. Vivevamo i favolosi anni ’60, come li chiamano oggi, ma c’era davvero tanto entusiasmo. Eravamo mossi da mille speranze e facevamo di tutto per perseguire i nostri sogni».
Vi sono anche ricordi brutti? «Certamente, su tutti il periodo delle agitazioni a fine anni ’60. Si rimaneva incerti sul futuro, non si sapeva da che parte stare e tante speranze crollavano molto velocemente»
Una speranza, un sogno, o un’aspettativa, che è riuscito a realizzare? «Diventare nonno. Non voglio sembrare banale, ma ci credevo, e ci credo, veramente. Vedere crescere i figli, farli studiare, sposarli. Era la speranza classica di allora, di tutti noi, generazione del dopoguerra».
I giovani di oggi come li vede? Hanno queste aspettative? «Non mi sembra che oggi abbiamo questo tipo di speranze. Il lavoro è più facilitato e fanno valere i loro diritti, ma non mi pare pensino a farsi una famiglia. La maggior parte non se ne vuole nemmeno andare di casa».
Cosa prova a pensare che quei capannoni saranno abbattuti? «Sicuramente un po’ di malinconia. È anche vero che si tratta di un archeologia industriale che non interessa più a nessuno. Ma sono davvero necessari tutti quegli appartamenti? Una volta non si costruiva così tanto. Ma è solo un’opinione personale»
Oggi ha ancora in casa qualche elettrodomestico della Lesa? «Certo, un fantastico tostapane cromato. Ha quasi quarant’anni e ci si può ancora specchiare».
È ancora funzionante? Lo usa? «Funziona ancora, ma i toast non mi sono mai piaciuti».
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