Unire le aziende e puntare sui dazi. La ricetta di Maroni per tornare competitivi

- Il ministro del Welfare interviene in un faccia a faccia con i piccoli imprenditori. Promessi 15 milioni di euro per le pmi del settore tessile

Sono già pronti, parola di ministro del Welfare, i soldi per le piccole aziende del tessile. Sono 15 milioni di euro, molti più dei tre milioni richiesti all’inizio dal tavolo di concertazione provinciale per il tessile: si tratta dei soldi che servono a finanziare la casa integrazione per le pmi e per le aziende artigiane del settore, un provvedimento che non spetterebbe alle aziende inferiori ai 15 dipendenti ma per il quale è già pronta la firma della deroga, così come è già stato fatto per il tessile bergamasco e il calzaturiero vigevanese.
Soldi che aspettano solo l’arrivo dell’accordo proveniente dal tavolo provinciale, capitanato dall’ente Provincia ma a cui partecipano tutte le parti sociali, sulla scrivania del ministro del welfare Roberto Maroni . «L’accordo, in verità, è già in dirittura di arrivo – tiene a precisare Marco Sartori, il collaboratore del ministro che sta seguendo la vicenda – è questione di una settimana o due al massimo».

Non saranno però questi 15 milioni di euro, «che sono solo un provvedimento tampone, utile ma non risolutivo» a rilanciare il tessile varesino. Di questo Maroni ne è convinto: «Ci vogliono ben altre misure per salvaguardare la giusta concorrenza per queste imprese».  Quali siano per Maroni è presto detto, anche se precisa che "non si tratta di norme medioevali, ma politiche adottate da molti paesi del Wto": il ministro vuole infatti, per i prodotti che provengono dalla Cina, l’imposizione di dazi e quote. Le prime per compensare gli aiuti di stato che la Cina dà alle sue imprese, le seconde per compensare il dumping, l’enorme differenza di trattamento tra i loro lavoratori e i nostri.
Ottenerle non è una questione che si può sbrigare in Consiglio dei Ministri: questioni come queste infatti vanno poste a Bruxelles. E per ottenere che i rappresentanti del Governo italiano lottino in sede UE per ottenere i dazi ai prodotti tessili, Maroni e la Lega sono disposti a "prendere in ostaggio" il decreto sulla competitività, «che la Lega potrebbe decidere di non firmare se non ci saranno assicurazioni sui dazi».

Ma non solo sul tessile varesino ha parlato Roberto Maroni nel pomeriggio del 28 febbraio, ospite di un vero e proprio "faccia a faccia" tra imprenditori e ministro del Welfare organizzato da API con i suoi associati: mille altre questioni, tutte spinose e cruciali per il settore produttivo di questa provincia, sono state poste al ministro. Gli imprenditori intervenuti, infatti, non si sono fatti intimidire dall’illustre ospite e hanno sciorinato tutti i loro più brutti pensieri: dalla concorrenza cinese alla mancanza di aiuti dello Stato, dall’azione distruttiva della grande distribuzione straniera (ma soprattutto europea, come i francesi Carrefour e Metro, per esempio). Facendo "a briglia sciolta" la fotografia della situazione del territorio molto meglio di quanto abbiano potuto fare tante analisi.

«Io mi rendo conto che c’è richiesta d’aiuto, non solo economico, al Governo da parte delle piccole imprese – ha risposto loro Maroni – ed è comprenibile il disorientamento in una situazione economica come quella odierna. Tutte queste piccole imprese sono nate all’interno di un sistema che ne ha favorito la nascita e lo sviluppo, grazie al cambio favorevole della lira e agli aiuti statali. Ma adesso la situazione è cambiata: siamo al’interno dell’euro che è forte e non aiuta gli scambi e gli aiuti statali non sono più possibili perché la UE pone limiti severissimi ai Governi nell’aiuto alle aziende singole. Bisogna perciò cambiare modo di porsi, perchè è il contesto che è cambiato. Per questo motivo, tra i provvedimenti legati al decreto sulla competitività, è contenuto anche un incentivo perchè si verifichi l’unione di imprese, che ha come scopo primo quello di far crescere,anche in termini dimensionali, le aziende. So che non è una cosa molto semplice da fare, quella di unire delle imprese familiari, ma la situazione di oggi rende necessario fare uno sforzo di unità, perchè è veramente troppo difficlie per le imprese troppo piccole stare al passo con la concorrenza».

La ricetta vera, dunque, quella su cui il ministro del Welfare punta, è quella di aumentare la dimensione delle aziende che formano il tessuto produttivo italiano: tentare cioè un’opera di concentrazione delle imprese, in modo che quei tre milioni e rotti di aziende al di sotto dei dieci dipendenti che ora esiste in Italia diventi una realtà numericamente inferiore ma di dimensioni più consistenti, in grado di reggere la concorrenza mondiale.
Il rischio, al contrario, è di "perdere il treno" della nuova competitvità, in un mondo dove il "pericolo cinese" è solo uno dei mille rischi da affrontare: «Ma io sono ottimista – ha concluso Maroni – sono sicuro infatti che, riassorbito lo choc del cambiamento, il sistema delle nostre imprese saprà perfettamente adeguarsi alla nuova situazione, perché flessibilità e spirito di innovazione fanno parte del dna dei nostri imprenditori, anche di quelli che ho visto qui, ora così preoccupati».

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Pubblicato il 28 Febbraio 2005
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