Cosa nasconde il PIL

Siamo tutti contenti, indotti a compiacerci dai soddisfatti commenti politici e della stampa, quando il PIL è in crescita. PIL è l’acronimo di prodotto interno lordo. E’ detto lordo perché al lordo degli ammortamenti; interno perché comprende il valore dei beni e dei servizi prodotti all’interno in un paese. Beni prodotti sono considerati solo i prodotti finali, trascurando i prodotti intermedi inglobati nel prodotto finale. Se per costruire un’automobile la FIAT acquista componenti da subfornitori, questi sono prodotti intermedi e non rientrano nel calcolo del PIL: solo il valore finale della automobile è considerato. Il PIL può quindi anche essere definito la somma dei valori aggiunti generati dalla economia in un anno.
Tanto per capire compiutamente cosa c’è nel PIL ripassiamone le componenti. I beni e i servizi all’utente finale vi entrano, ma non quelli intermedi. La produzione per scorte vi entra. Un bene prodotto e non venduto, aumenta le scorte ed aumenta il PIL, mentre l’utilizzo di scorte non prodotte nell’anno va a riduzione del PIL. Poi vi sono beni e servizi che vengono prodotti e consumati ma che non vengono venduti sul mercato; il loro valore viene stimato per essere incluso nel calcolo del PIL. Tali voci sono dette imputazioni e sono ad esempio: il fitto figurativo degli alloggi occupati dal proprietario; le spese sostenute dalla pubblica amministrazione per erogare servizi che non sono pagati direttamente a prezzi di mercato dai cittadini quali l’ordine pubblico, la sicurezza, l’istruzione.
Si considera che il PIL sia una misura imperfetta. Corrisponde tuttavia a convenzioni di calcolo concordate: permette il confronto fra situazioni in paesi e in tempi diversi, ha base monetaria e il sistema della contabilità nazionale ne consente la rilevazione, ha un significato e una utilità strumentali.
E’ stata empiricamente osservata una relazione lineare fra le variazioni percentuali del tasso di disoccupazione e le variazioni percentuali del PIL (legge di Okun, un economista americano, 1928-80). Si stima che il tasso di crescita tendenziale annuo determinato dalla crescita della popolazione e dal progresso tecnico sia del 3%, che diminuirà se cresce la disoccupazione. Ne afferro la logica evidente: se la gente, per forza o per scelta, non lavora, certo non produce. Il PIL non cresce. E neanche dovrebbe crescere se la gente, seduta alla scrivania del suo posto di lavoro, fa solo finta di lavorare. Ma non è così.
Non illudiamoci che il PIL sia un indice della economia e del benessere della nazione. Esso misura tutte le transazioni monetarie che hanno luogo nel paese, e cresce se queste transazioni aumentano, non importa se per produrre ricchezza, o per riparare guasti o semplicemente per sprechi. Chi più spende, meglio sta. La sostituzione di un auto distrutta in un incidente, contribuisce ad aumentare il PIL. Così i costi per tenere delinquenti in galera. Così la costruzione di fabbriche ed ospedali che restano a deteriorarsi e non vengono usati: le cattedrali nel deserto.
Si stanno cercando numeri indice più significativi riguardo a ciò che ci sta a cuore, cioè indicativi del nostro benessere.
Per esempio il Genuine Progress Indicator (GPI) che intende correggere il PIL sottraendo il costi sociali legati alla criminalità, all’inquinamento e al deterioramento delle risorse naturali, e aggiungendo al prodotto interno lordo il valore del lavoro svolto nella famiglia e nel volontariato. Il GPI prende poi in considerazione altri fattori, quali la distribuzione del reddito (maggiore l’equità, più alto è il GPI), la disponibilità di tempo libero (maggiore il tempo libero, più alto è il GPI).
Oppure gli indicatori della qualità della vita che considerano tutti gli aspetti che influenzano il benessere. Mi riferisco ai trentasei indicatori, utilizzati dal Sole 24 Ore per eleggere la capitale italiana della qualità della vita, raggruppati in sei aree: tenore di vita, affari e lavoro, servizi e ambiente, criminalità, popolazione e tempo libero. La questione è delicata, ma in cose così importanti come la nostra vita bisogna stare accorti.
Il PIL da solo a noi cittadini non dice niente. Un PIL che cresce può anche nascondere un’economia che va allo sfascio perché produce cose inutili, mal fatte e perfino dannose.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 14 Maggio 2005
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