“Per tornare a correre abbiamo bisogno di una ventata di orgoglio”
La relazione del Presidente di Univa Alberto Ribolla
Solitudine e coraggio sono le ultime parole con sui si è chiusa l’assemblea annuale dell’Unione industriali di Varese. Le ha usate il presidente Montezemolo per descrivere lo stato d’animo in cui spesso si trova l’imprenditore. Condizione, per la verità, tipica di ogni leader qual è anche la figura dell’imprenditore.
Alberto Ribolla ha dimostrato di essere parte a pieno titolo del suo ruolo. Una relazione senza tanti fronzoli. Asciutta, concreta e in parte coraggiosa. Una relazione rivolta davvero al suo mondo, al mondo dell’impresa. Capace di parole chiare che non nasconde i problemi e che cerca di dare slancio e infondere ottimismo a un territorio che è ancora capace di rispondere alla crisi, ma che è certamente a rischio.
Ribolla apre la sua relazione con una serie di dati capaci di stordire un toro. «L’Italia, – sostiene il presidente- di fronte all’iceberg, continua a muoversi a ritmi troppo lenti per un mondo che ha assunto un passo diverso. Se non riusciremo tutti quanti insieme, imprese, sindacati, Istituzioni, ognuno per la sua parte, a dare velocemente una scossa al nostro Paese, dovremo rassegnarci a vedere lo sviluppo allontanarsi. Ne abbiamo misura guardando alla realtà dell’Italia. La produzione industriale ha avuto un andamento deludente con una crescita media dell’1% all’anno dal 2000 ad oggi. E non mi soffermo sui dati, ancor più negativi, dei primi mesi di questo complesso 2005. Nel commercio internazionale, fatto uguale a 100 il livello dell’anno 2000, le esportazioni italiane nel 2004 si sono fermate a quota 97, quelle dei Paesi industrializzati sono salite oltre 110 e quelle complessive sono vicine a 120».
Da questi primi dati emerge con chiarezza come puntare il dito a cause solo esterne voglia dire non aver coraggio di affrontare le vere questioni. Ribolla lo dice con chiarezza «ci troviamo in una società che tende più alla conservazione che all’innovazione. E qui, non lo nascondiamo, anche noi imprenditori dobbiamo fare un esame di coscienza. Nel 2002 le imprese nel loro complesso hanno speso nell’area Ricerca e Sviluppo 37 miliardi di euro in Germania, 21,8 miliardi in Francia, 20,8 miliardi nel Regno Unito e solo 7,1 miliardi in Italia».
Arriva quindi il primo pensiero forte della sua relazione. Dobbiamo «cambiare la capacità di governance delle nostre imprese. Nei mercati globali, nei mercati dei grandi numeri non vincono più le singole eccellenze, ma le interdipendenze, il sistema. Se da soli facciamo fatica a raggiungere le soglie minime dobbiamo innovare praticando la difficile via delle aggregazioni di scopo. La dimensione la si può costruire, mettendo insieme le forze di un’economia oggi diffusa anche grazie alla tecnologia, lasciandosi, però, alle spalle gli scogli di un localismo culturale ed economico frutto di rituali che si dimostrano non più adatti ai tempi: magari rinunciando ad aree di governance, in cambio di crescita e sviluppo».
Un discorso questo che avrebbe subito dopo ripreso con grande efficacia Aldo Bonomi affermando che se si guarda al sistema territoriale che va oltre i confini provinciali, il territorio è senz’altri capace di dare isposte e di uscire dalla crisi.
Varese potrebbe perciò avere tutte le carte in regola per non rimanere schiacciata in questo clima negativo e qui arriva il secondo passaggio significativo di Ribolla. «L’Unione, la nostra Unione, ha tutte le caratteristiche per svolgere un ruolo aggregante anche in questo campo».
La parte debole della relazione è quella rivolta al mondo della politica. Emergono delle critiche, come quando afferma che «si devono smettere i panni di una autoreferenzialità che porta a considerare le scelte di politica economica indipendenti dal "quando" e dal "dove". Gli altri Paesi si muovono e non aspettano certo la soluzione dei problemi della politica italiana». E incalza affermando che «ci piacerebbe venisse riscoperta la politica del fare, capace di confrontarsi con la concretezza delle piccole e grandi opere, che sa sfruttare nel migliore dei modi le risorse che la società mette a disposizione». Un po’ pochino se si pensa alla delusione cocente che vive tutto quel mondo che aveva creduto alle parole dell’attuale Presidente del Consiglio. Non è certo nello stile di Confindustria usare parole forti verso la politica, ma la distanza tra quello che si sente ora e quello che veniva espresso ai tempi dei governi del centro sinistra appare francamente troppo diverso. Questo Governo ha delle responsabilità gravissime, ma gli imprenditori vogliono giustamente smarcarsi da polemiche inutili, ma non trovano le parole altrettanto coraggiose come quando parlano di loro e dell’economia lasciando così ancora una volta molto indefinito il quadro delle responsabilità.
Ribolla è orgoglioso di raccontare qual è stato il clima sociale a Varese. «Quando altrove i fili si spezzavano, qui abbiamo sempre lavorato, su entrambi i fronti, per riannodare i rapporti, per costruire delle opportunità. Ora questa "via varesina" alle relazioni industriali è messa alla prova da quegli stessi cambiamenti geo-economici che ci toccano da vicino. Tutti, imprenditori, lavoratori e sindacati, abbiamo davanti una via vincolata alla competitività. Una via che non permette concessioni a nessuno».
La conclusione del suo ragionamento è importante e lancia una sfida a tutto il sistema «È una partita che si vince o si perde tutti insieme». Il nostro territorio deve quindi chiedere a gran voce che «l’impresa venga rimessa al centro del dibattito politico. Non possiamo immaginare un’Italia senza più manifatturiero».
E così Ribolla chiude con un appello forte a tutto il sistema.
«La volontà di fare impresa è un ingrediente fondamentale. E alle nostre imprese questo ingrediente non è mai mancato. E non mancherà mai. Ad ognuno, comunque, rimane il compito di fare la propria parte con coerenza: le istituzioni, riconoscendo nell’impresa il motore della crescita ed agendo di conseguenza, i sindacati creando nuovi spazi entro cui ricercare la competitività del sistema. L’orgoglio che ci deriva da questa consapevolezza è la molla in grado di spingerci fuori dalle secche. È il vento in grado di farci riorientare la prua verso un futuro di sviluppo che ci appartiene.
Il successo delle imprese, non dimentichiamolo, è il successo di tutto il territorio, di tutto il Paese: i dividendi della crescita che sapremo costruire insieme sono la nostra principale assicurazione per il futuro. Per il futuro di tutti».
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