Lavoro e felicità, l’equazione non impossibile
A parlarne, nel secondo incontro del programma culturale di Anche Io, Francesco Boccia e Michele Bernasconi
La felicità è un argomento anche economico? E quanto incide il lavoro sulla ricerca della felicità?
E’ su questi ambiziosi punti di partenza che si è snodato il secondo dibattito, previsto dall’intenso programma nella seconda edizione di Anche Io. Per i coraggiosi partecipanti all’incontro, iniziato alle nove e mezza di mattina, è stato cominciare la giornata con una sfida "alta", di quelle che stimolano innanzitutto le grandi domande.
Ad affrontare l’impegnativo argomento due economisti di grande levatura e grande esperienza accademica e umana che lavorano sul nostrio territorio: Francesco Boccia, direttore del Cerst, Centro Ricerche per lo Sviluppo del Territorio e professore di economia delle amministrazioni pubbliche presso l’università Cattaneo di Castellanza, e Michele Bernasconi, professore di economia all’università dell’Insubria.
Proprio a quest’ultimo è toccato affrontare la domanda iniziale: se è vero che l’economia sta cercando di calcolare la felicità, e con quali parametri.
«Si tratta di un nuovo tentativo, in atto da alcuni anni: tant’è vero che uno degli ultimi Nobel dell’economia è uno psicologo che si è interrogato sulla felicità in senso economico – ha spiegato Bernasconi – ma inizialmente, e fino all’800, ad occuparsi di felicità erano anche gli economisti, come testimoniano le citazioni sparse per lo spazio della festa, che coinvolgono economisti dell’800 come John Stuart Mill. La felicità, in questi ultimi anni, è misurata fondamentalmente con sondaggi mirati che hanno portato a scoprire magari della banalità, ma certamente dei punti fermi: come che è più felice chi ha più denaro, ma anche che è più felice chi lavora».
A coniugare più nei particolari l’equazione lavoro – felicità ci ha provato Francesco Boccia, che con il segretario generale della Fiom Lombardia Maurizio Zipponi ha pubblicato un libro/dialogo, dal titolo "il diavolo e l’acquasanta", dove un sindacalista e un professore di un’università confindustriale curiosamente convergono sulle politiche per fare evolvere di nuovo l’economia di questo paese.
«La verità è che ci siamo messi a ristudiare la felicità quando ci siamo accorti di non essere più felici – spiega Boccia – e che l’incertezza di oggi è indotta anche da disparità di trattamento nell’erogazione dei servizi essenziali, dai quali dipendono spesso le scelte fondamentali della vita individuale, che sono negli ultimi anni stati trasferiti agli enti locali. Forse ora sarebbe importante domandarsi quali siano i servizi essenziali a cui dovrebbero accedere tutti i cittadini, per sapere cosa è necessario garantire a tutti, da Aosta a Canicattì».
Un dibattito intensamente stimolato anche dai partecipanti al di là del tavolo (in molti casi figure di altissimo livello nel panorama della società economica e accademica della provincia), protagonisti della discussione insieme ai relatori, che hanno stimolato a 360 gradi il discorso sulla felicità e su come ottenerla.
Una felicità che ci si domanda possa esserci nel ritorno alla politica, se abbia senso che venga inserita nella costituzione, se sta nella diminuzione delle diseguaglianze o nel calcolare in una nuova visione dell’economia insieme al profitto, anche il benessere che certe azioni portano. In un contesto che, hanno concordato tutti, vede un futuro più incerto di un tempo in un paese che non si può però considerare oggettivamente povero.
Perché chi guarda il bicchiere e lo vede mezzo pieno o mezzo vuoto, «spesso lo vede mezzo pieno quando parte dal basso, e mezzo vuoto quando lo guarda dall’alto». Come ha segnalato il professor Bernasconi. Oppure «il bicchiere lo vede mezzo vuoto chi lo vorrebbe pieno di tutta l’acqua, anche quella degli altri» come ha detto invece il professor Boccia citando, inusitatamente, il comico Enrico Bertolino: segno di un tempo in cui la felicità è argomento di conversazione e riflessione a tutti i livelli, come sempre accade quando scarseggia.
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