Ho perso Aria

Nuovo numero per il "Magazine for travellers", questa volta si parla della paura di (non) perdersi

Quando ti perdi, hai comunque paura. Può essere a causa di uno spazio chiuso, stretto: senz’aria. O al contrario uno spazio troppo aperto, freddo: l’aria pura. In ogni caso la prima sensazione che proviamo è quella di paura, di angoscia. Poi, chi ha lo spirito del viaggiatore, lascia spazio all’istinto di sopravvivenza, e infine, come Ulisse, alla curiosità. Solo così si rende conto che il perdersi, come l’essere soli, è sempre un concetto relativo.

È questo il leit motiv del terzo numero di Aria, in edicola e nelle librerie Feltrinelli dal 28 gennaio. Non a caso l’editoriale di Laura Broggi parte proprio dalla trama di “Picnic a Hanging Rock”, di Peter Weir. Storia di una studentessa dell’epoca vittoriana che decide di fuggire dalla vita composta della sua società, per perdersi nelle montagne di Hanging Rock. E in fondo si perdono nei particolari le fotografie e i racconti raccolti in questo numero.

C’è lo sguardo perso dei personaggi della fotografa Julia Fullerton-Batten o il suono disperso del piano di Michael Nyman. E se nessuno si perde in un luogo, allora quella è una terra perduta, come la “No men’s Land” di Maria Simon.

Ma il gioco può continuare per tutte le pagine. Cè un pezzo di storia persa, che non tornerà mai più, come l’america raccontata da Francesco Morace prima della scomparsa delle Torri Gemelle. E se anche dopo esserci persi dovessimo decidere di tornare a casa, una parte di noi se ne sarebbe andata per sempre, vivendo solo nel ricordo, come in “Retour à la maison” di Augusto Petruzzi.

Ogni viaggio porta con se il perdersi o il perdere qualcosa. Ci sono i ricordi del viaggio stesso, che proviamo a salvare sempre con una foto o con qualche scarabocchio appuntato sul nostro diario, come i tanti pubblicati da Aria. Ma niente li potrà conservare vividi come nel momento in cui li abbiamo i vissuti. Poi c’è una parte di noi abbandonata prima del viaggio, che possiamo ritrovare solo con una profonda introspezione, che poi è sempre un altro viaggio.

La perdita è forse il vero sinonimo perfetto di viaggio. E la nostra paura di dimenticare (che ci spinge a realizzare migliaia di fotografie dei nostri viaggi e di scrivere centinaia di diari online, i blog) tradisce il nostro desiderio di vivere una realtà diversa per sempre, in grado di distinguersi. Perché la vera angoscia non deriva dalla paura di perdersi, ma dal timore di dover restare sempre fermi.

Che si sappia o si voglia tornare a casa non conta nulla. Perchè quando si cambia aria, non si torna più indietro…

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Pubblicato il 27 Gennaio 2006
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