«Le librerie non chiudono per colpa dei supermercati»

Paolo Soraci delle librerie Feltrinelli spiega le ragioni del successo tra i lettori dei megastore e della grande distribuzione

«Ci sono troppi luoghi comuni sulle chiusure delle librerie». L’affermazione è di Paolo Soraci, capo ufficio stampa delle librerie Feltrinelli. Quelli che Soraci definisce luoghi comuni sono anche le argomentazioni più frequenti che i lettori di Varesenews hanno utilizzato nei loro interventi sulla chiusura della storica libreria Veroni.

 

Soraci, è vero che le librerie chiudono perché aprono i megastore e perché i libri vengono venduti nei supermercati?
«No. Le librerie chiudono per motivi interni alla loro struttura. A Milano, in Corso Buenos Aires, abbiamo aperto da due anni un megastore e avremmo dovuto fare terra bruciata. Invece a fianco abbiamo la storica libreria Puccini, che non ne ha risentito per niente ed è sempre piena di gente. Più giù c’è la libreria del Corso, nella stazione della metropolitana in piazza Lima c’è la libreria Aleph, specializzata in psicologia, ma che ha tutto. Quindi si convive tranquillamente».

 

Che cosa è cambiato rispetto al passato?

«Allora, il pubblico all’antica, quello dei notabili e delle élites è finito. Mio padre un tempo andava dal libraio che gli faceva ogni mese un bel pacco di libri con le novità, quelli che gradiva li teneva e pagava, il resto lo restituiva al libraio. Oggi questo rapporto non esiste più e d’altronde non sarebbe possibile, considerato che in Italia si pubblicano 300 mila titoli e almeno 50 mila novità all’anno. Il mercato dei libri è un mercato di massa. Nei nostri megastore entrano anche quelle persone che un tempo per timidezza o senso di inferiorità non entravano in libreria. C’è una democratizzazione della cultura, prendiamone atto».

 

 

 

Un’altra argomentazione molto gettonata è che nei megastore ci sono commessi e non librai. Gente che di letteratura non sa nulla e che conosce a malapena la collocazione dei libri negli scaffali.
«Anche questa è un’argomentazione superficiale.  Parto dalla nostra esperienza: le librerie Feltrinelli investono centinaia di migliaia di euro nella formazione del personale. E sono corsi di formazione di cultura del prodotto e non di gestione. Nell’ultimo c’erano 160 persone che avevano una tale  passione e competenza che siamo rimasti sorpresi noi per primi. E comunque questo è un lavoro in cui ci si forma continuamente a contatto con i libri e tra gli scaffali».

 

I libri in Italia costano troppo.
«L’effetto euro l’ha subìto anche il libro, soprattutto per il costo della carta. C’è però una tale varietà d’offerta che il lettore puo’ orientarsi. Se non puo’ acquistare una novità, ormai quasi contemporaneamente puo’ acquistare un’edizione economica. E poi il prezzo del libro ha una composizione di costi oggettiva, non si puo’ bluffare. Nella mia esperienza, anche in altre case editrici, raramente ho visto aumentare un prezzo. Accadeva spesso il contrario: l’editore insisteva per abbassarlo di qualche punto percentuale, perché se il prodotto costa meno si vende meglio. Anzi, in qualche caso si usciva sottocosto per lanciare il libro».

 

La massa in libreria, la democratizzazione della cultura, i libri scontati e accessibili. Non esistono problemi?
«Allora, le cause endogene, come ho detto, sono alla base della chiusura delle librerie. Tra queste ci sono senz’altro i costi alti per l’affitto dei locali, specialmente se sono in centro città. La presenza dei megastore spesso aiuta a riattivare zone che hanno subìto uno svuotamento progressivo. Il vero termometro della situazione sono, però, i lettori. Ormai in metropolitana vedo sempre più gente che legge e non importa se legge romanzi rosa o leggeri, perché come diceva Paco Ignacio Taibo
II:
“Credo che nella letteratura non esista il viaggio di sola andata, che tutti i viaggi siano di andata e ritorno e che il lettore ritorni arricchito alla vita quotidiana”»

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Pubblicato il 27 Settembre 2006
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