«Siamo benzina sul fuoco!»

Intervista a Masito dei Colle der Fomento, dopo lo show di venerdì 8 giugno a Festosa 08

Venerdì 8 giugno, a Oggiona c’era una foresta di braccia alzate sotto il palco del “Colle Der Fomento”. Dopo un’apertura in crescendo dei gruppi nostrani (I Buona, Casi Clinici e CHF) i tre musicisti romani hanno fatto divertire, muovere e urlare il pubblico di Festosa’08.
Il gruppo, per l’occasione, ha infatti presentato il nuovo album dal titolo “Anima e Ghiaccio”, un’autoproduzione uscita qualche mese fa dopo un silenzio troppo lungo, ma anche pezzi storici come “Vita”. Per concludere con un po’ di freestyle e il microfono a disposizione di tutti i rapper che hanno voluto provarci. I “Colle” non pubblicavano un disco dal 1999 (“Scienza doppia H” distribuito da Virgin), quando ancora suonavano con Ice One, il primo DJ del gruppo. Da qualche anno al suo posto c’è DJ Baro, che mette le basi sotto le rime di Masito e Danno (aka Jake La Motta).
Festosa ci ha fatto un regalo e gli artisti l’hanno raddoppiato, lasciandoci un concerto da ricordare per tutto il pubblico.
Masito, il cantante, racconta invece così la serata.

Com’è andata?

È stata una bella serata, c’era un buon impianto, parecchi gruppi e parecchia gente. Non è male per una volta suonare all’aperto, sentire l’odore dell’erba invece che quello delle macchine… Insomma è andata bene e ci siamo divertiti!

Siete a favore o contro la musica scaricata da internet?

Non siamo tra quei gruppi che ti dicono di non scaricare, anzi mi indigna vedere gruppi che lo fanno. La musica scaricata nuoce più alle case discografiche che ai gruppi musicali, perché comunque sono quelle ad avere il monopolio della maggior parte del mercato. Quindi non mi dispiace per niente che si scarichi. Se non hai i soldi e non puoi comprare, scarica pure, va bene così. Anche io lo faccio ma credo che, se una cosa scaricata ti piace, poi la supporti comprandola originale. Soprattutto se, come il nostro disco, ha un prezzo accessibile (ai concerti viene venduto a 10 euro ndr). Allo stesso modo essere di supporto venendo alle serate è importante.

Perché l’autoproduzione?

Ce l’hanno già chiesto in molti e voglio chiarire che è proprio un problema di soldi. Non voglio girare attorno alle cose dicendo che non abbiamo trovato un accordo o il feeling giusto. No, noi cercavamo proprio un buon contratto, dei soldi, perché di quello si tratta. Abbiamo preferito fare da soli e abbiamo fatto la scelta giusta, perché riusciamo a controllare tutto il lavoro. È una soddisfazione: andremo in pari, pagheremo i produttori, le persone con cui abbiamo lavorato e gli spazi che abbiamo usato. Non guadagneremo dei soldi però siamo davvero contenti di pensare di poter scegliere, un minimo, il prezzo di uscita del disco.

Pensate di rifarlo?

Mah… io ho trentadue anni, insomma abbiamo una certa età. Non sarebbe male avere un contratto serio, anche se secondo me è un’utopia essere trattati da musicisti. I contratti che fanno oggi sono da fenomeni del momento, fatti su misura per cavalcare l’onda. Quando parli con i discografici non ti trattano da persona ma da ragazzino.

Dopo più di dieci anni di Hip Hop cosa è cambiato nel Colle der Fomento?

Non è cambiato tanto. Abbiamo periodicamente ritrovato l’energia iniziale. Ci sono stati periodi di crisi, come capita a tutti, periodi in cui producevamo poco, eravamo poco attivi. Abbiamo anche avuto difficoltà a scrivere, perché era un momento negativo nella vita o non capitavano cose interessanti. A me personalmente hanno scosso un paio di live venuti male per cose che non dipendevano da noi (l’impianto o il locale). Sono accadute cose che ci hanno portato a chiederci: perché lo faccio? Perché scrivo rime e non, per dire, poesie? Abbiamo ricominciato. Attorno a noi sono cambiate molte cose, noi ci siamo adattati, ma non più di tanto. Abbiamo un certo pubblico che ci stima per certe cose che facciamo: dobbiamo continuare a fare quelle, senza cambiare lo stile di base, e soprattutto fare quello che ci viene più spontaneo. Per questo ad esempio non facciamo tanti featuring. Non ne facciamo mai per posta poichè pensiamo ci debba essere un rapporto diretto con gli altri artisti. Siamo un po’ “antichi” su certe cose, però era anche il bello dei tempi passati, cioè proprio incontrare le persone, lavorarci assieme.

Dopo un silenzio discografico così lungo viene da domandarsi se c’è stato qualcosa di davvero brutto. È andata così?

Abbiamo solo fatto un percorso all’inverso. Tanti gruppi incidono un demo, poi uno fatto meglio, poi firmano un piccolo contratto e magari infine un contratto con una major. Noi invece abbiamo trovato subito una casa discografica (abbiamo firmato prima con la Irma, poi con la Virgin); abbiamo inciso il disco, girato il video… Insomma abbiamo fatto le cose alla grande. Poi siamo tornati all’autoproduzione. Credo sia un caso unico nel rap italiano.

Non sono ancora riuscito a capire perché se n’è andato Ice One.

Ormai sono passati un sacco di anni. È come quando ti lasci con una ragazza: è stata una bella cosa ma ora è finita, ora ne ho un’altra e penso a quella presente. Non è stata una lite. Semplicemente noi eravamo ragazzi e Sebby (Sebastiano ndr) aveva trent’anni (e ora lo capisco perché ho trent’anni anch’io). Ad esempio a volte noi avevamo più voglia di fare tardi, o cose così e lui la pensava diversamente. Insomma intenti diversi. Lui, in pace, ha deciso di fare altre cose: voleva spaziare su più generi, mentre noi volevamo restare fissi sull’Hip Hop. Anzi, sul nostro Hip Hop perchè noi facciamo le cose in modo tutto nostro.

Cosa butteresti della cultura Hip Hop?

Parecchie cose butterei. Io dico spesso questa frase: “Chi è un po’ intelligente non dovrebbe stare nell’Hip Hop”. È un po’ estrema, ma ora che sono più grande e mi guardo indietro un sacco di cose che mi sono piaciute, in cui sono cresciuto pensandoci giorno e notte… Sono nulla. Sono nulla. L’Hip Hop è una musica che vive di scena, di teatro… Ora salvo i Public Enemy o altri gruppi come il Wu Tang che ha giocato con il rap raccontando la propria realtà. Butterei tutta la finzione, butterei tutto l’inutile. Anch’io per dirne una ho la fissa delle scarpe, le sneakers vintage, però oggi resta solo quello… È pesante. Nella mia mente i Public Enemy erano un gruppo di protesta, attivo politicamente. Magari non era così, o non è così, però avevo un mito forte. Oggi le persone hanno miti proprio di basso livello, come Corona ad esempio. È davvero pesante!

 E il buono dell’Hip Hop?

Per me è proprio l’idea di qualcuno che viene dalla periferia, dalla borgata, di qualunque città del mondo e tira fuori il proprio ego. Magari non sa bene come o con che direzione, non ha un’ideologia politica, ma sa “che c’ha dentro certe cose, che le deve dire”.

Cosa mi dici della scena varesina?

Conosco Esa ad esempio, è un mito. Passare da casa sua era eccezionale: c’era quello che faceva writing, quello che faceva design… Per noi di Roma un po’ più “disordinati” vedere questa organizzazione era stupefacente.

Hai voglia di commentare le scelte di quegli artisti (Articolo31 e Neffa) che, dopo essere arrivati al grande pubblico suonando Hip Hop magistralmente, hanno cambiato genere?

Non puoi entrare nella testa della gente o sapere quello che gli succede. A me mancano i primi Articolo 31. Mi manca Neffa. Mi ricordo che quando lo andavo a vedere ai concerti a Roma ero totalmente ipnotizzato, anche se magari stavo già facendo musica mia. Mi ha insegnato un sacco di cose.

Facciamo un esperimento: c’è un terremoto che si ingoia l’Italia, me, te e tutto il Colle der Fomento. Spariscono tutti i dischi e un virus cancella tutti i vostri brani su tutti i computer del mondo. Insomma, si volatilizzano i Colle e la loro musica. Hai quattro secondi per lasciare un messaggio. Qual è?

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Pubblicato il 12 Giugno 2007
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