Lavoratori varesini tra cantieri e Malpensa

Parlano alcuni dei protagonisti del corteo: i lavoratori edili, gli extracomunitari e i dipendenti dell'indotto dell'aeroporto

I problemi del lavoro a Varese, una delle provincie a più alta occupazione d’Italia, stanno innanzitutto nei tanti cantieri, nel lavoro nero a cui sono costretti gli immigrati, ma anche nel grande e moderno hub di Malpensa: e tutte tre queste parti erano in corteo il primo maggio a Varese, dietro striscioni che li caratterizzavano o nascosti tra la folla.

Per gli immigrati, raccolti principalmente dietro gli strisicioni della associazione varesina Ubuntu il problema principale, quello che li ha mossi a sfilare nella giornata del primo maggio, è più ancora della sicurezza una condizione di residenza stabile: “il problema principale, per noi, è il permesso di soggiorno: ottenerlo, e più ancora mantenerlo. Anche per chi lavora è un problema serio quello dei ritardi nel riceverlo, per esempio” speiega il manifestante tunisino che è arrivato a Varese con un accordo tra il nostro e il suo paese nel 2001. “Sto a Masnago da tanti anni, sto bene ora – Precisa lui – All’inizio l’accoglienza è stata difficile, ma ora non ho difficoltà”. Con lui alcuni colleghi, uno dei quali spiega di essere arrivato a Varese con già il contratto di lavoro in tasca, come la legge Bossi Fini prevederebbe. Un caso più unico che raro. “So di essere fortunato. Ma sono qui e manifesto per i permessi di soggiorno dei lavoratori che lo sono meno di me”.

Sono prevalentemente stranieri anche quelli che stanno dietro lo striscione della Fillea CGIL, il sindacato degli edili, il settore più tartassato dagli infortuni, dove troppo spesso gli incidenti sono gravissimi o mortali: “Anche se si tratta di un settore più visibile e più esposto degli altri, ma solo uno di quelli in cui gli infortuni sono probabili” spiega Marino Mazzola, della segreteria Fillea. Con lui affrontiamo anche il problema dell’”autonomizzazione” degli edili: “Spesso i lavoratori sono costretti a rendere la partita Iva e lavorare da autonomi. Una situazione che rende ancora più polverizzato e senza controllo il settore, che è già fatto di aziende di 3-4 dipendenti in media”.

Quello del lavoro precario, dei drammi di chi lavora nell’edilizia o deve chiedere un permesso di soggiorno ogni sei mesi, non è però la sola grande questione varesina sul tavolo: l’altra, che coinvolge il futuro di migliaia di lavoratori, è quella che tocca Malpensa.

“Io spero solo in una ripresa del lavoro – spiega Raffaele dell’Erba, 37 anni, al lavoro alla LSG Sky Catering, la seconda impresa per numero di lavoratori a Malpensa – su Alitalia ormai non contiamo  più da tempo, è una questione che non ci importa più. Quello che ci importa è che i vettori più importanti restino a Malpensa e tornino a girare il lavoro, che ora è un disastro”.
Raffaele parla come dipendente di una azienda che ha 150 lavoratori in cassa integrazione ma sente, come tutti quelli che lavorano lì “Che l’aeroporto ha ancora grandissime potenzialità. E il fatto che vada via Alitalia sblocca solo una situazione critica. Me lo lasci dire: che non ci sia più per noi lavoratori, sarà solo una fortuna”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 01 Maggio 2008
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