Ettore Mo, il ragazzo di campagna che voleva conoscere il mondo
Il grande inviato di guerra del Corriere della Sera ultimo ospite di Librando
Le "avventure" di Ettore Mo hanno chiuso l’edizione di Librando
2008. Ieri sera, domenica 1 giugno, lo storico giornalista del Corriere delle Sera ha presentato di fronte a un pubblico di circa quaranta persone il suo ultimo libro "Ma nemmeno malinconia. Storia di una vita randagia". Prima dei suoi memorabili reportage, prima delle grandi storie di guerra, prima delle storiche amicizie con i grandi personaggi del mondo, c’è un altro Mo. Ed è proprio il libro che ci racconta l’inizio dell’avventura di questo uomo nato 76 anni fa a Castelletto Ticino. «Ero un ragazzo povero di campagna che voleva conoscere il mondo – racconta sollecitato anche dalle domade del pubblico -. Dopo il lieco classico mi sono iscritto alla facoltà di lingue antiche e Venezia, ma non è a scuola che si imparano le lingue. E così sono partito e ho girato più volte il mondo». Per mantenersi Mo ha fatto i lavori più disparati: cameriere, barista, mozzo, cantante, infermiere. Ma il sogno era un altro: raccontare storie, fare il giornalista. E l’occasione si presenta a Londra quando decide di farsi avanti con Piero Ottone, allora corrispondente del Corriere. «Ottone mi ha detto: "Devo vedere se lei sa scrivere, mi lasci qualcosa". Io poi sono ripartito per le crociere in giro per il mondo e quando abbiamo fatto tappa ad Honk Kong ho trovato un suo messagio: "Lei sa tenere una penna in mano". Tornato a Londra, è inziata l’avventura del giornalismo nel più grande quotidiano d’Italia». Ma se inizialmente Mo si occupava di spettacoli e la sua firma non appariva quasi mai se non in occasione dei necrologi, è Franco di Bella che ne fa un inviato di guerra. «Nel 1979 l’allora direttore mi chiama nel suo ufficio – ricorda – e mi chiede: "Sai che Khomeini è tornato a Teheran? Hai il passaporto? Bene, allora parti!». Ed è così che sono nati i suoi storici reportage. L’unico rimpianto? «Non essere riuscito ad incontrare Pol Pot».
Ma qual è quindi il segreto per essere un buon giornalista? «Bisogna sentire l’odore della guerra e delle persone – sentenzia da "veterano" -. Se vuoi essere un vero giornalista devi essere sul posto e raccontare esattamente quello che hai visto, devi raccontare una storia. Devi scarpinare per avere un giorno un momento sublime, una rivelazione incalcolabile». E per Mo uno di questi momenti sublimi è stato sicuramente quello vissuto in Afghanistan dopo la morte del Capo guerrigliero della resistenza afghana Massud. «Lui amava chiacchierare. Ho chiesto al suo vice di che cosa avevano parlato la sera prima delle sua uccisione. Mi ha risposto che alle quattro di notte avevo parlato di Dante Alighieri».
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