“Gallarate sta diventando la città ideale”
La Fondazione Culturale festeggia i cinque anni di attività. Nell'intervista al direttore Adriano Gallina un bilancio su quanto fatto e sulle proposte future
Cinque candeline e grande soddisfazione per tanti risultati importanti. La Fondazione culturale viaggia a pieno ritmo e il direttore Adriano Gallina traccia un bilancio.
In cinque anni avete dimostrato una grande capacità, forse unica per una realtà di provincia periferica come Gallarate, di attrarre grandi nomi. Qual è il segreto della Fondazione
Culturale?
«Non ci sono segreti. Gli ingredienti sono semplici: un’ottima e "personalizzata" conoscenza e capacità di relazione e di contatto diretto con gli artisti, con le compagnie e con le agenzie. Uno "sguardo" artistico coerente, identificabile, sufficientemente lungimirante e orientato alla sprovincializzazione che si rivolge a qualsiasi pubblico. Gallarate con i suoi quattro teatri deve attrarre pubblici provenienti da un bacino territoriale ampio: dall’intera provincia, da Milano, dalla Svizzera, in molti casi dal resto della Lombardia e anche da altre regioni. Per i Momix, ma anche per Dee Dee Bridgewater, per Einaudi, per altri abbiamo avuto spettatori provenienti dalla Germania. Ricordo prenotazioni da Chieti! E se guardiamo la curva delle vendite on-line (tipicamente opzionate da chi vive fuori Gallarate) verifichiamo di mese in mese una crescita quasi esponenziale».
I numeri. Anche per Neri Marcorè è tutto esaurito, per Franco Battiato non ci sta neppure uno spillo in teatro. Quanti sold out avete registrato e quanti ne prevedete per il prosieguo della stagione?
«Devo confessare che in un’epoca straordinariamente difficile per l’intero sistema dello spettacolo dal vivo sono il primo ad essere sorpreso dai risultati di questa stagione. Quel che è cambiato in maniera molto significativa è la tipologia dello spettatore: c’è una progressiva diminuzione dell’opzione sull’abbonamento accompagnata però a un incremento dello sbigliettamento, della scelta specifica e consapevole. Un pubblico che abbraccia il carpe diem. Una scelta che genera qualche incertezza organizzativa e implica la necessità di forti campagne promozionali "spettacolo-per-spettacolo". Questo però garantisce anche una bellissima varietà nella composizione della platea, tantissimi spettatori "unici", e dunque un’estensione notevolissima della conoscenza diffusa di ciò che accade nel nostro teatro. I sold-out di questo primo scorcio di stagione (Kataklò, Cochi e Renato, il Balletto di Mosca, Ludovico Einaudi, domani Neri Marcoré) e quelli a venire (ci siamo quasi con i Tambours du Bronx, Battiato, Salemme, ovviamente le tre repliche dei Legnanesi) ci rinfrancano ma non ci fanno cantare vittoria. Non ho risposte semplici a questo dato in controtendenza rispetto a quello nazionale e, anzi, uno sguardo "scientifico" e disincantato mi porta ad essere molto cauto nelle previsioni. Per il momento – cercando di capire quale "formula alchemica" siamo riusciti forse inconsapevolmente a cacciare nel crogiuolo – facciamo un po’ come i nostri spettatori: carpe diem, appunto. Ma con un occhio attento al futuro, su cui già stiamo lavorando».
Un altro dato da registrare è quello dell’ormai avviata collaborazione con le altre realtà, non più e non soltanto a Gallarate, ma in tutta la provincia. L’attestato del finanziamento di Sipari Uniti è un punto di arrivo o un punto di partenza?
«Le due cose. "Sipari Uniti" è forse il progetto di cui, a titolo anche squisitamente personale, sono più orgoglioso, perchè rappresenta il coronamento e la concretizzazione di un lavoro che viene da molto lontano. E’ il risultato, da un lato, di un contesto produttivo territoriale in campo teatrale che da anni tentava di farsi sistema, oltrepassando steccati e paletti concorrenziali. Dall’altro lato è anche il risultato – determinante – della progettualità di sostegno alle attività teatrali in rete promossa dalla Fondazione Cariplo, che oggi si configura come il più importante soggetto di finanziamento privato della nostra regione. A questo si aggiunga una nuova disponibilità delle compagnie a rimettersi in gioco e a dialogare e la notevolissima capacità di "lettura" e comprensione della serietà del progetto da parte della Provincia e in particolare del nuovo assessore alla cultura, Brianza. Da non dimenticare naturalmente i Comuni di riferimento e le Comunità Montane che sostengono le rassegne in loco e hanno reso possibile tutto questo. Dopo di che: si tratta chiaramente di un punto di partenza. Se – con una metafora – il nostro lavoro è un po’ come quello del contadino, che prima deve dissodare, poi seminare, poi bagnare, poi aspettare l’arrivo del sole, poi bagnare di nuovo, allora potremmo dire che ora il terreno è fertile e che, quindi, si aspettano più floridi raccolti in futuro».
Patti Smith ha annunciato la sua assenza, al suo posto arriveranno i Buena Vista Social Club, altro nome di portata mondiale. Ci dobbiamo aspettare altre sorprese per le stagioni a venire?
«La vicenda di Patti Smith mi ha ovviamente lasciato un po’ l’amaro in bocca, ma nella relazione con artisti di questo livello bisogna mettere in conto l’imprevedibilità. Siamo riusciti fortunatamente – proprio in virtù delle ottime relazioni di cui parlavo prima – a proporre una straordinaria alternativa internazionale con il Buena Vista. Un dovere assoluto (per quanto differente) nei confronti dei molti spettatori che aspettavano con trepidazione Because the Night. Per il futuro, certo, aspettatevi molte molte sorprese: che però non posso annunciare ora. Rimarremo comunque in ambito sia nazionale sia internazionale».
Il rapporto con le altre realtà culturali cittadine è altalenante. Col tempo siete riusciti a trovare un punto di equilibrio o questo è ancora lontano? Con l’amministrazione comunale invece fila tutto liscio?
«Credo che le cose si siano fondamentalmente assestate. Dalle primissime aspettative del 2005 molte cose sono cambiate:
I costi. Dopo cinque anni di lavoro siete riusciti a limitare all’osso sprechi e perdite. Si può ancora migliorare o si sta già facendo il massimo con le risorse a disposizione?
«Siamo davvero al limite e nuove progettualità impongono la ricerca di nuove e differenti risorse. La macchina organizzativa – contrariamente a quanto accade nella stragrande maggioranza delle organizzazioni del settore – assorbe tra stipendi e costi gestionali una percentuale molto bassa del bilancio complessivo. Di fatto, i nostri costi più rilevanti sono riferiti all’impegno di spesa per gli spettacoli e alla loro promozione. Certo si può sempre migliorare (soprattutto per quanto attiene le voci in entrata: penso alla Fondazione Cariplo, ma anche agli sponsor, ai finanziamenti da Regione e Provincia, ecc.): ma ulteriori riduzioni di costi saranno possibili sostanzialmente solo in relazione ad un calo dell’attività che tuttavia – allo stato delle cose – non vedo seriamente percorribile: la stagione mi pare in realtà assestata su un sostanziale punto quantitativo di equilibrio».
Infine il futuro. Cosa può diventare
«Più che pensare "in proprio" alla nostra Fondazione mi piace appunto pensare a quel che può divenire – e sta divenendo – questa città: dalla nuova GAM alla nuova Biblioteca, dalla nostra Fondazione all’Istituto Puccini, Gallarate si sta oggettivamente ridisegnando come (ribadisco quanto dissi in un’intervista di quattro anni fa) vera e propria capitale culturale, "Città ideale" rinascimentale, non solo per la provincia ma per l’intera regione, addirittura per il Paese. Tutto questo si potrebbe declinare – mantenendo il filo rosso delle autonomie progettuali di ciascuno e della libertà artistica e culturale delle diverse istituzioni – in un ampio e complesso, ma integrato, sistema cittadino a funzione pubblica. Credo si stia andando – per ora forse attraverso percorsi autonomi – in questa direzione. Quanto all’Expo 2015: si tratta di una scommessa che presenta, ad oggi, molti chiaro-scuri di varia natura, che vanno dall’effettiva disponibilità di risorse ai già molto avvertiti rischi di speculazione, da un’eccessiva attenzione al "monumentalismo" al pericolo di una declinazione della cultura in chiave minoritaria sino alla tentazione "Milano-centrica", con l’area metropolitana letta (ed interpretata) in chiave residuale. Vedremo. Molto dipende dalla capacità negoziale, ai tavoli di concertazione, delle autonomie locali».
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