La società ha bisogno di giornalisti credibili, non imbavagliati
La riflessione di Pierfausto Vedani sulle nuove norme sulle intercettazioni telefoniche. «Se mezzo parlamento ci vuole imbavagliare dobbiamo reagire, ma al tempo stesso dobbiamo chiederci se i nostri comportamenti sono sempre stati ineccepibili»
Il giro di vite c’è e sicuramente noi giornalisti con le nuove norme sulle intercettazioni saremo meno liberi e di conseguenza l’opinione pubblica avrà un’informazione meno ricca. Non posso quindi non essere solidale con i colleghi che protestano, non voglio però mettere da parte i dubbi che nel corso degli anni a volte hanno accompagnato la lettura di articoli dove c’era il massacro delle norme, mai cancellate, tese a tutelare non solo chi era imputato, ma anche chi era indagato o in qualche misura coinvolto in un’ indagine.
Appartengo alla vecchia guardia dei cronisti giudiziari, categoria nella quale venni subito cooptato in forza della dozzina di esami fatti a giurisprudenza, quando a metà degli Anni 50 mi accostai alla professione di giornalista. Il codice penale allora in vigore, già in parte riformato con l’avvento della Repubblica, portava il nome di Alfredo Rocco, il guardasigilli che lo aveva proposto e varato nei primi anni del regime fascista.
Altre riforme importanti delle leggi penali sarebbero arrivate successivamente, ma la giustizia del tempo dei miei esordi non ricordo abbia suscitato allarmi democratici anche se esigeva e otteneva che a ogni reato seguisse la pena certa.
E pure le altrettanto rigide regole del nostro mestiere di cronisti pretendevano un rispetto rigoroso delle norme e della tutela della persona, rispetto tuttavia non tale da negare una informazione soddisfacente.
Gli approfondimenti di una notizia rispetto a oggi erano più difficili: qualche prudente aiuto lo avevi da chi investigava, gli avvocati erano quasi sempre per l’innocenza dei loro assistiti mentre dall’apparato giudiziario arrivava, ogni tanto, solo qualche spiffero. Non c’erano le comodità, tanto per capire bene, che per esempio hanno avuto i colleghi che hanno seguito le vicende di “Mani pulite” o della politica nazionale dove ci sono stati magistrati che per nulla avrebbero rinunciato all’apparire a discapito di una tradizione fatta di riservatezza, come richiede sempre il loro ruolo. La pacchia dei vari segreti non rispettati c’è stata per tutti noi eppure spesso si è andati oltre: voglio dire che in più di un’occasione esercitando la funzione del controllo dei poteri istituzionali ci siamo fatti del male da soli e comunque se la politica adesso non ci risparmia martellate, se la legge oggi non ci è amica, se gli editori ci calpestano, se i giornali non conoscono più i successi editoriali del passato, è possibile che tutto ciò accada anche perché noi giornalisti navighiamo nella scia della crisi dei valori della società. Ci mettono il bavaglio? Un passo indietro ma solo per ripartire rigenerati e con un obiettivo preciso: essere protagonisti della battaglia per la legalità. Se mezzo parlamento ci vuole imbavagliare dobbiamo reagire, ma al tempo stesso dobbiamo chiederci se i nostri comportamenti sono sempre stati ineccepibili, se la richiesta agli altri di correttezza massima non debba essere accompagnata dall’esibizione di una patente alla quale non è stato tolto nemmeno un punto. Essere credibili in un momento di grande difficoltà generale è il miglior servizio che si possa rendere alla comunità, oltre che a noi stessi.
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