Risaie e petrolio, da qui è partito il convoglio della morte

La Sarpom di Trecate (Novara) è la raffineria da cui è partito il carico di Gpl che il deragliamento del treno a Viareggio ha trasformato in una bomba. L'azienda non ha alcuna responsabilità nell'accaduto: dal suo scalo partono ogni anno da 15 a 17mila carri cisterna

Il Novarese: terra di risaie… e di idrocarburi. Proprio qui, in questi orizzonti sconfinati oppressi da una spaventosa cappa d’afa, sorge da oltre cinquant’anni la raffineria Sarpom. E’ da qui, da San Martino, frazione di Trecate a breve distanza dal Ticino, che ieri pomeriggio è partito per Viareggio quello che doveva essere un normale carico di Gpl, ma si è trasformato in una bomba incendiaria capace di uccidere e distruggere un intero quartiere. L’azienda non ne ha la minima responsabilità: l’incidente è stato in tutto e per tutto un disastro ferroviario. A renderlo catastrofico è stata la pericolosità intrinseca del carico, infiammabile – e in questi casi c’è poco da fare.
 
Che questa zona sia un polo produttivo ancora di rilievo si vede subito. Per arrivare a Trecate si pasa attraverso alcuni degli snodi logistici più fondamentali (in prospettiva) del Norditalia. Siamo nel pieno del famoso Corridoio V. Si scende per la Boffalora-Malpensa in un paesaggio di elettrodotti, svincoli, l’alta velocità Milano-Torino in fase di ultimazione. All’uscita di Novara Est della A4 i camion sono in gran parte cisterne. A Trecate la Sarpom si vede da lontano, nel piattume assoluto di questa landa padana: fa da contrappunto alle torri della centrale termoelettrica di Turbigo che si vede verso nord, dall’altro lato del Ticino. Anche qui torri, tubi contorti di dubbia utilità agli occhi del profano, che solo agli ingegneri e ali esperti operai svelano la loro funzione.
 
Quando giungiamo sul posto, sulla provinciale per Cerano transita dal binarietto interno del vasto deposito un treno con cisterne. La security vigila attenta, le sbarre si abbassano. Il treno sferraglia verso chissà quale destinazione. Sulle fiancate, in cifre, il contenuto: 23-1965. Percorrendo il lato dell’immensa area della raffineria, chiusa qua e là da filo spinato (è un sito “sensibile”), si giunge all’ingresso in tempo per la sirena di fine turno e l’uscita degli operai. Alle loro spalle un paesaggio da incubo industrialista anni Settanta: le componenti però sono quasi tutte evidentemente nuove e moderne. L’aria è pregna di odori chimici, ma un tempo doveva essere peggio.
 
A confermarci che quello di Trecate è un impianto tuttora all’avanguardia è l’ingegner Rosario Lentini, responsabile del servizio di protezione e prevenzione. «La proprietà (75% Esso, 25% Erg ndr) ha investito molto, il livello teconologico è alto anche se l’impianto è qui da oltre cinquant’anni». Sorse fra il 1948 e il 1952 su impulso della Fiat, mentre dall’altra parte del Ticino gli industriali bustocchi davano vita a Malpensa. «Difficile commentare una tragedia»  dice Lentini. «È presto per parlare delle cause, anche se le ferrovie parlano di un guasto tecnico. Ciò che è successo è al di fuori della nostra giurisdizione, diciamo. Di nostro c’era solo il Gpl: tutta la fase dal carico al trasporto è effettuata da Fs Logistica. Noi diamo disponibilità del prodotto e di una pensilina di carico su cui, nel nostro terreno, viene effettuato il trasbordo sui treni». Poi i vagoni partono, per destinazioni spesso molto lontane, in Italia e in tutta Europa. Dentro la Sarpom lavorano al momento circa 400 persone, per lo più di Trecate e Cerano, più altre 150 circa che hanno cantieri attivi all’interno della raffineria.
 
Il sindaco Enzio Zanotti Fragonara è colpito dal dramma viareggino. «Il fatto ha toccato tutti, e credo non solo in Italia, per le modalità. Un conto è un deragliamento con esplosione in campagna, un conto in mezzo a una città». Una città, sinonimo per tutti di vacanze, che Fragonara ben conosce. «Conosco molto bene la Lucchesia, in passato sono stato direttore della Bertolli olio, ho ancora tanti amici nella zona» ci dice. Il dolore di fronte al dramma di Viareggio è quindi tanto più sentito, e per nulla di circostanza. Con la raffineria la convivenza ultradecennale, riferisce, procede senza scossoni particolari, anche in tempi di accresciuta coscienza ambientale. L’unico incidente industriale di grosso rilievo coinvolse nel ’94 un pozzo dell’Agip, lontano dalla raffineria, che inquinò un tratto di risaie.
Ogni anno «da 15 a 17mila carri cisterna se ne vanno su ferro dal nostro scalo merci, risparmiando migliaia e migliaia di camion a strade già trafficate. L’impianto, come tutto il settore petrolchimico, ha dato molto a Trecate in termini occupazionali e di sviluppo» ricorda Fragonara. Anche qui il dito è puntato contro le ferrovie: sono stati i carri il punto debole che ha ceduto. Erano a noleggio, ci dice il sindaco: «ora anche la politica è intervenuta, si imporranno norme più severe». Purtroppo, come sempre accade dopo che la tragedia è già avvenuta.
 
Anche il benzinaio a due passi dai maxidepositi della sua compagnia guarda con serenità a quanto si muove, camion dopo vagone, a pochi metri da lui: una vita insieme frenetica e regolare. “Si convive, queste grosse strutture sono così. Se rischi ci sono, si forzano di gestirli in modo accorto. Del resto, incidenti rilevanti non se ne sono registrati in decenni, ancora di recente hanno rinnovato le disposizioni di sicurezza”. Le mani in tasca, guarda lontano, fra ciminiere e tubazioni, in attesa del prossimo cliente.

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Pubblicato il 30 Giugno 2009
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