Broker rapito, condannati i sequestratori

Il rapimento anomalo di Riccardo Cornacchia. Il tribunale condanna a 6 e mezzo i due imputati. Che hanno rischiato pene fino a 27 anni di carcere. Rimane sconosciuta la mente dell'operazione

Sono stati condannati a 6 anni e 6 mesi di carcere i due sequestratori di Riccardo Cornacchia, il broker prelevato da casa e detenuto a Gravedona da un gruppo di uomini che volevano chiedergli conto di alcuni affari finanziari. Massimo Ciriello e Riccardo Giorgi, sono stati giudicati colpevoli di sequestro di persona e di estorsione, ma il reato più grave è stato riqualificato dal collegio presieduto dal giudice Ottavio Muscato (giudici  Valori e Pepe latere). In pratica, i giudici hanno deciso che il sequestro c’è stato ma che l’estorsione è stata successiva e distinta. Gli imputati hanno così evitato la condanna per sequestro a scopo di estorsione, che determina una pena base durissima pari a 25 anni di galera. Il pubblico ministero, Sara Pozzetti, aveva chiesto per Giorgi e Ciriello rispettivamente 26 e 27 anni di carcere attribuendo anche ai due uomini un passato criminale di spessore. Nella sua requisitoria, il pm ha spiegato che non esiste alcuna prova dell’esistenza di Steve Russell (il presunto mandante, sconosciuto anche all’interpol) ma gli imputati avrebbero forse agito per conto di non meglio precisate  persone del sud, mai però accertate. La minaccia era reale, nonostante la curiosa tesi difensiva delle manette giocattolo acquistate al sexy shop. E anche l’estorsione, seppur distinta dal sequestro, era reale, e non determinata da un debito, mai provato né accertato. Dunque, pena minima per i sequestratori, ma accuse parzialmente confermate.  I giudici hanno anche stabilito 10mila euro di risarcimento danni a testa, mentre Cornacchia ne aveva chiesto 50mila a tutti e due per i danni di immagine. La difesa ha negato fino all’ultimo cercando di accreditare una sorta di tentativi di chiarimento per un presunto debito di Cornacchia, cercando di sminuire la pericolosità degli imputati definendoli una “armata brancaleone”.
E il movente? La spy story non è risolta. Certo, non era tecnicamente compito dei giudici stabilire che cosa ci fosse sotto. In aula le versioni sono state contrapposte e si è parlato di tanti fatti: della vendita di una banca off shore a degli indiani, di un conto a San Marino, di un inglese misterioso. Si rimane con la dichiarazioni di Riccardo Cornacchia: “Non devo soldi a nessuno”. A Milano, saranno giudicato giovedì gli altri due complici.  

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Pubblicato il 01 Luglio 2009
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