Quel patrimonio umano che nei bilanci non c’è

Alcuni imprenditori artigiani presenti all'incontro con i ministri Bossi e Tremonti raccontano cosa significa affrontare una crisi: dal lato economico e da quello umano

«Lasciare a casa un dipendente è doloroso come mettere nei guai una persona di famiglia. A lavorare in una microimpresa come quelle che vedete su questo territorio, si è in quattro, in cinque. Si vive insieme. Si crea un patrimonio che non ha nulla a che vedere con i bilanci. Poi arriva la crisi e il momento in cui i dipendenti non si possono più pagare. Si devono prendere delle decisioni pesantissime e che non si riusciranno a superare, nemmeno dopo la crisi. Con che faccia potrò chiedere un domani a un mio collaboratore torna a lavorare con me?». Mauro è un piccolo artigiano del Varesotto, è solo uno degli imprenditori che questa sera ha affollato l’auditorium di Agusta Westland a Vergiate. Dall’incontro con i ministri, dice, «non mi aspetto delle risposte ma solo dei segnali di speranza. O almeno di veder ridurre in qualche modo il distacco tra la politica e i piccoli imprenditori che rappresentano l’economia di questo paese».

Anche lui fa parte di quelle voci che chiedono al governo un intervento severo a tutela del made in Italy. «Molte grandi firme continuano a produrre all’estero spacciando per italiani prodotti che di italiano non hanno niente. E alcuni artigiani, per continuare a lavorare con loro accettano questo meccanismo. Io non lo voglio fare e pago questa scelta ma pretendo di essere perlomeno tutelato».

Le crisi sono cicliche, dice la teoria economica.  «E’ vero – continua l’imprenditore – lo sappiamo. Ma la realtà non si fa con i principi. Abbiamo visto crollare improvvisamente la produzione. Abbiamo pagato una crisi che non aveva nulla a che fare con i nostri affari».

«Il 2008 è arrivato dopo un periodo eccezionale – spiega Walter, artigiano meccanico -. Io ho investito perchè volevo ingrandire la mia attività. Ho sottoscritto un contratto di leasing per la durata di 15 anni. Ai debiti difficili da ripagare si è aggiunta poi la mancanza di  liquidità dovuta anche ai tempi dei pagamenti da parte dei clienti, che sono diventati sempre  più lunghi. Prima si pagava a sessanta giorni, poi il termine è slittato sempre di più. E questo problema, è importante ricordarlo, non riguarda tutti gli artigiani ma quasi solo quelli legati alla manifattura».

La sua situazione è comune a quella di molti altri. «Ora – continua – sono completamente scoperto. Per far fronte a questi impegni mi brucerò tutto quello che ho messo da parte finora compresi i risparmi di mio padre. Ho ereditato questo lavoro da lui, gli ho dedicato tutto il mio tempo e oggi mi sento di dire a mio figlio: vai a fare un altro lavoro». Il pessimismo c’è ed è comprensibile eppure nelle parole di questi imprenditori si colgono ancora dei segnali di grande coraggio: «Quello che ci salverà, lo dico da sempre è la differenziazione. Il nostro paese ha la grande capacità di produrre in modo diverso da tutti gli altri. Dobbiamo capirlo finché siamo in tempo. Ed è questa la strada che io continuerò a seguire». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Ottobre 2009
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