Una mattinata da incubo in aeroporto. Buon Natale
Una famiglia doveva partire per Bari, ma arrivata all'hub della brughiera ha vissuto ore di caos e di incertezza. Alla fine ha rinunciato al volo
23 dicembre 2009. Ore 7, arriviamo a Malpensa. Siamo in tre: moglie, figlia di quasi otto anni ed io. Naturalmente ci ha accompagnato in macchina il nostro amico Marino, perché dalla ricca e operosa Varese non è semplice raggiungere il Grande Aeroporto Internazionale. Il nostro aereo per Bari dovrebbe partire alle 9,05. All’ingresso del terminal, grande schieramento di polizia in tenuta antisommossa. Code disordinate ai check-in. Pare che la battaglia da poco finita, intrapresa da "passeggeri in ostaggio", abbia messo fuori uso quei nastri che dovrebbero organizzare la coda in serpente. L’impiegata del nostro banco raccatta le sue cose e se ne va: ha finito il suo turno. La nostra coda si disperde in numerose appendici di code già costituite. Passa un impiegato Alitalia. Alla domanda, timida e imbarazzata: «Va bene qui per il volo per Bari?», risponde: «Il vostro volo è in fase di cancellazione». Un eroico e pugnace gruppo di viaggiatori diretti a Bari si organizza: raggiungiamo insieme un nuovo banco e intanto, con la speranza propria degli ingenui, osserviamo i monitor che non riportano la cancellazione del nostro volo. Ma l’impiegata Alitalia è tanto gentile quanto perentoria: «Il vostro volo è stato cancellato». Insieme a noi, del «Gruppo Volante Bari», ci sono anche quelli che da ieri cercano di partire. Erano a Linate, già montati su un aereo, da cui sono stati invitati a sbarcare. Li hanno dirottati su Malpensa ed ora, con l’aria ferita ma anche un po’ nervosi, chiedono spiegazioni. In sintesi, alle nostre richieste di sapere quale sarà il nostro destino, l’impiegata cortese ci risponde che possiamo chiamare il call-center. Ci guardiamo perplessi: alcuni sorridono; altri si guardano intorno forse cercando un oggetto pesante con cui manifestare il proprio punto di vista. Alcuni di noi, infatti, da due giorni provano a chiamare lo 062222: conosciamo a memoria la voce registrata su nastro e le abbiamo augurato cose impronunciabili. Il sottoscritto, con piglio patriarcale, raduna la famiglia e si dirige alla biglietteria Alitalia (area 10). Dovunque gente accampata: dormono a terra, sulle valigie, sulle poltroncine. Code infinite e rabbia palpabile. Raggiunta la biglietteria, dopo solo 40 minuti di coda vengo a sapere che per noi non ci sono posti sino alla sera del 25 dicembre. Decidiamo di farci rimborsare il biglietto e tornarcene a casa. In taxi. Alle 11 sentiamo il nostro amico Roberto diretto in Umbria. Doveva partire alle 7 da Milano Centrale in treno. Da Varese non partivano treni e i cosiddetti autobus sostitutivi erano in ritardo. Alla fine ha raggiunto Milano. In taxi. Alle 11,30 ci chiama lui: è salito sul treno. Ma è fermo. A Milano Centrale. Mia figlia, che è in piedi dalle 5,30, mi chiede: «Perché il nostro aereo non è partito?» Poiché questo Natale lo dobbiamo vivere all’insegna della pace e dell’amore, come ci insegna il nostro Presidente del Consiglio, le rispondo: «Perché ha nevicato. A dicembre.» Lei mi guarda perplesso. Ma è educata e non mi insulta. Quando ritorniamo a casa, la chiamo. Lei si avvicina. Io le sorrido, perché pace e amore e eccetera… Però la minaccio: «Se non mi prometti che quando sarai appena un po’ più grande scapperai dall’Italia, do fuoco all’albero di Natale.» Lei mi guarda. Perplessa.
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