L’immunità e la “perdita della democrazia”
il 25 gennaio scorso c’è stato un "giro di vite" per l'immunità parlamentare che da assoluta è diventata limitata
Poche ore dopo il risultato sul referendum popolare tenuto in Svizzera, in merito alla possibilità di costruire nuovi minareti, molti media e numerosi politici guardarono alla Confederazione come modello cui guardare.
Anche nelle nostre terre si è plaudito al modello efficiente di federalismo, con tanto di manifestazioni pubbliche, tendoni e raccolta firme per “emulare” il modello rossocrociato.
Il quesito del minareto da noi è ancora lontano ma una firma, preventivamente, non la si nega a nessuno. Gli svizzeri intanto guardano il nostro Paese, osservano, elaborano molto più di quello che si potrebbe pensare da questa parte della ramina. Hanno così notato che è passata del tutto inosservata in Italia, nelle province di confine almeno, la notizia della perdita dell’immunità, di buona parte dell’immunità concessa, alla classe politica ticinese. Già, potrà sorprendere, soprattutto in virtù di quanto avviene oggi in Italia, ma il 25 gennaio scorso c’è stato un "giro di vite" per l’immunità parlamentare che da assoluta è diventata limitata.
I deputati ticinesi si sono votati in Gran Consiglio, l’autorità legislativa del cantone, una legge che scaccia privilegi inappropriati mettendo i deputati sullo stesso piano dei cittadini non politici. Cosa vuole dire questo nella sostanza? Significa che se un deputato usa espressioni diffamatorie, calunniose, vessatorie o ingiuriose in aula, in commissione o anche all’interno di un atto parlamentare, può essere perseguito e avrà il trattamento che spetterebbe ad un qualunque cittadino. Le cose non stavano così prima di tale atto perché l’immunità totale metteva il politico ticinese al sicuro da procedimenti civili o penali, salvo rare eccezioni.
Le limitazioni attuali sono state votate a maggioranza in Parlamento con 55 sì, 18 no e 3 astensioni. Altro particolare interessante è l’iter burocratico che tale meccanismo rispetta. Ci si sente offesi, si denuncia, decade l’immunità e comincia il lavoro dell’autorità giudiziaria. In caso di diffamazione invece, dove è sempre possibile invocare la buona fede a propria giustificazione, spetterà al Parlamento decidere se revocare o meno l’immunità. La richiesta, in quel caso, dovrà essere fatta dal Ministero pubblico e in aula servirà una maggioranza qualificata (46 voti), dietro voto a scrutinio segreto. Il deputato in oggetto sarà sentito prima dall’Ufficio presidenziale e potrà rinunciare lui all’immunità se vorrà evitare il confronto ed il voto parlamentare.
A tale provvedimento si è opposto un rappresentate dei Verdi ticinesi e diversi esponenti della Lega dei Ticinesi, i quali hanno visto il provvedimento come “una perdita di democrazia”.
Potrà mai il nostro Paese correre questo rischio?
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