“Nel mio lavoro a trent’anni si è vecchi”
Il lettore Francesco Piraneo racconta la sua scelta di lasciare l'Italia e aprire un'attività in Svizzera: «Molti tecnici sono costretti a fare altro buttando al vento la propria esperienza»
«Lavoravo, non guadagnavo e dovevo anche dare dei soldi al fisco. È stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo tante delusioni e arrabbiature». Francesco Piraneo ha deciso che in Italia non ci voleva più stare. E nel 2007 da Castano Primo si è trasferito in Svizzera dove continua la sua attività. Ha 38 anni e negli ultimi 20 si è dedicato all’automazione industriale. Già nel 2003 aveva scritto a un giornale locale, per raccontare la sua esperienza ma le cose, dice, in questi anni non sono cambiate. «Ho contattato VareseNews dopo aver letto un articolo sulle imprese varesine e sulla difficoltà che hanno nel cercare tecnici specializzati. Questo problema però non è mai stato affrontato. Bisogna dire la verità: i tecnici ci sono, molti di loro vi hanno scritto, ma qualcosa nei rapporti tra i lavoratori e le imprese non funziona». Una parte della colpa, secondo il programmatore che ora vive e lavora a Morbio Inferiore in Canton Ticino è da attribuire agli imprenditori. «Le condizioni di lavoro che propongono sono spesso inaccettabili, si cercano i ragazzini da pagare poco e con contratti precari – spiega -. L’ho vissuto sulla mia pelle, per questo sono disgustato. In Italia la situazione è molto grave: un tecnico è spendibile sul mercato del lavoro fino ai trent’anni. Quando cioè è possibile pagarlo poco, poi è troppo vecchio. Questo pero’ è dumping salariale: a trent’anni, dopo aver studiato, mi sono ritrovato con una discreta esperienza ma difficile da proporre. Molti buoni tecnici dopo i trent’anni passano alla carriera commerciale e buttano al vento tutta l’esperienza fin’ora accumulata». Non è solo la crisi, secondo Piraneo, a rendere difficile questo periodo: «Che c’è “la crisi” io lo sento da anni. Ma che cosa si fa per cambiare? Per me un’impresa deve saper guardare al futuro: invece in molti non comprendono che avere in azienda una persona formata e specializzata, anche se puo’ essere difficile apprezzarne la professionalità, significa fare un investimento e ottenere valore. Invece mi è capitato spesso di essere vissuto dall’imprenditore come una presenza necessaria ma della quale non si capisce bene l’utilità. Questa è una delusione, dopo una preparazione che è stata lunga, faticosa e costosa. Inoltre penso che si debbano trovare dei meccanismi diversi per fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro». In Svizzera per l’imprenditore la situazione sembra essere migliore: «Il modo di concepire l’economia è molto diverso – conclude -. Si può gestire un’impresa in modo più semplice. La fiscalità ad esempio è molto meno complicata così come gli obblighi contabili; inoltre esiste un volto del servizio pubblico davvero al servizio dei cittadini. In Italia, purtroppo, questo non avviene. Anche in Svizzera inoltre esiste il mercato del lavoro interinale ma non è un pretesto per sfruttare i lavoratori. I controlli sono molto più severi e attenti ai comportamenti scorretti. L’Italia dovrà cambiare la sua mentalità se vorra’ avere un futuro».
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