Anche la donna è capace di uccidere. Per reazione

Massimi esperti di crimonologia si sono confrontati sulla condizione della donna, sempre vittima di violenze, che inizia a reagire

L’Istituto Fde, sede di uno dei pochi esempi in Italia di impegno nello studio e nell’approfondimento dell’applicazione delle tecniche criminologiche e investigative, ha portato in cattedra a Palazzo Te i nomi di Anthony Pinizzotto e George Palermo dagli Stati Uniti, Eugenio Aguglia, Gianvittorio Pisapia ed Hjalmar Val Marle, docente di psichiatria all’università di Rotterdam.
 
Al centro della terza giornata di lavori, le vittime di reato e il loro contributo di sopravvissuti o non sopravvissuti alle indagini. Un tema delicato affrontato a 360 gradi, considerando anche l’universo femminile, i crimini intrafamigliari, il suicidio, il carcere e la rete di intervento a favore delle vittime di reato.
 
Fattori socio-economici e variabili di background come la povertà, la scarsa istruzione, l’ostilità sociale e fra generi gettano le basi dell’antisocialità della donna, che si trova autrice e vittima di reati. «Ma alla base di note reazioni antisociali c’è l’abuso fisico perpetrato ai danni della donna – dice George Palermo, che ha tracciato un approfondito quadro del fenomeno – specialmente nel periodo infantile, e spesso tra le mura domestiche, da parte di padri o mariti». Un quadro sociale complesso che ha influito sull’incidenza di gravi crimini intrafamigliari: dalla mascolinizzazione sociale della donna all’immersione in un clima edonistico, materialistico e competitivo fra sessi e la creazione di aspettative. In sostanza, anche le donne uccidono, e spesso lo fanno per reazione, per un disagio legato alla povertà, ad una vita fatta di abusi, bassa istruzione e difficoltà di integrazione sociale e famigliare. «Noi uomini non abbiamo realizzato che il patriarcato è finito – continua il professore, massimo conoscitore di uno dei casi più eclatanti della cronaca statunitense, il serial killer Jeffrey Dahamer – e i numeri parlano chiaro: una donna su 4 è vittima di violenza domestica almeno una volta nella vita, e fra il 1993 e il 1997 negli Usa erano 2,1 i milioni di donne violente contro i 13,1 uomini”. Tuttora in Inghilterra il 25% dei crimini accadono tra le mura di casa, e il 14% degli omicidi in America avviene fra partner.
 
 
Vittima di reato è anche il suicida: Marco Monzani, direttore scientifico della scuola di Alta Formazione in Scienze Criminologiche e Investigative dell’Istituto Fde, ha distinto la volontà del gesto suicida dalla volontà delle conseguenze del gesto estremo che compie il soggetto. “Mentre il suicida è consapevole del gesto che intende compiere, lo progetta ed è in grado di prevederne le conseguenze, la vittima di suicidio si trova a metà strada fra un suicidio e un “incidente”, anche se di incidente in senso stretto non si può parlare”. Due concetti non vanno dimenticati, e anzi vanno approfonditi a livello di indagini criminologiche: il volere e il sapere morire. “Indagando la consapevolezza del gesto gettiamo le basi di un modello di autopsia psicologica e psicopatologica”.
 
E’ Anthony Pinizzotto, psicologo forense al servizio dell’FBI a calarci nel mondo dell’investigazione sulla scena del crimine. Tra morti per cause naturali, morti accidentali da verificare e suicidi, Pinizzotto ha percorso passo dopo passo le strategie investigative, partendo dai contributi che in maniera volontaria o involontaria la vittima – sopravvissuta o no – fornisce a criminologi, psichiatri, soggetti giudicanti.
 
Eugenio Aguglia, tra i primo dieci più grandi e stimati professori di psichiatria in Italia e ordinario all’Università degli Studi di Catania, ha approfondito il tema degli omicidi-suicidi in ambito famigliare con particolare attenzione alla sfera dei giovani. 
Riportando alcuni dati, in totale sono 340 i casi di omicidio-suicidio registrati in Italia tra il 2000 e il 2008, che hanno prodotto, compresi gli autori, quasi 1000 vittime. E’ quanto emerge dall’anticipazione del Rapporto Eures-Ansa sull’Omicidio volontario in Italia 2009. E’ proprio la famiglia l’ambito principale in cui maturano gli omicidi-suicidi, nel 91,6% dei casi, a fronte dell’8,4% riferibile ad altri contesti (disagio mentale, vicinato, ecc.). Sono soprattutto donne le vittime degli omicidi (75% dei casi contro il 25% uomini), mentre la fascia di eta’ piu’ colpita e’ quella compresa tra i 25 e i 54 anni (50,2% dei casi), cui seguono le vittime anziane (20,8% gli over 64) e i minori (13,5%).
 
Anche il mantovano ha visto in questi anni diversi casi di omicidio-suicidio. Agli albori dello studio di fenomeni psico-sociali di questo genere, c’è il noto caso di Mayerling, che ora dà il nome alla sindrome omonima. Racconta Aguglia:
“All’alba del 30 gennaio 1889, nel castello di Mayerling a circa 30 Km da Vienna, vengono scoperti i cadaveri del principe ereditario Rodolfo d’Asburgo e della sua amante, la baronessa Maria Vetzera. La loro morte, sulla quale sono state postulate fin dall’inizio le più svariate ipotesi (doppio suicidio, congiura) ha suscitato interesse in molti campi: storico- politico, medico-psicologico e criminologico”.
 

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Pubblicato il 09 Marzo 2010
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