Dante, Paperino e l’Inno nazionale
Le riflessioni del senatore Paolo Rossi che coglie i preoccupanti segnali di una omologazione schiacciata verso il basso
«Uno che all’indomani ha saputo tutto prima…», così si potrebbe riassumere il mestiere del giornalista, ripensando alla trama di un vecchio film di René Clair, intitolato Accadde domani. Fuori dalle battute, immersi nell’oggi e nelle polemiche e discussioni accesesi intorno al mondo dell’informazione – dal caso Boffo a Minzolini, da Santoro alle dichiarazioni ultime del presidente del Consiglio sulle intercettazioni, dalle 10 domande di Repubblica al dilagare del gossip, e via enumerando – il mondo delle televisioni e dei giornali sembra essere costantemente sotto assedio.
Io credo che la confusione che si è generata, e che perdura, sia una conseguenza e abbia radici principalmente in due fenomeni a far tempo ormai da qualche anno: il primo è che la crisi economica, scorta da una particolare prospettiva, è la risultante di una crisi prim’ancora politica e soprattutto morale, che coinvolge naturalmente la comunicazione in sé e gli strumenti messi in campo e fatti agire. Il secondo riguarda gli effetti che cominciano ad avvertirsi appieno della grande trasformazione che dall’interno ha investito la comunicazione stessa e quei suoi stessi strumenti a fronte di un’avanzata tecnologica che si è tradotta nella diffusa disponibilità sui più innovativi supporti informatici di una serie di opzioni senza precedenti per l’utente.
Il problema è che si è creato un meccanismo in cui l’informazione cresce a scapito della conoscenza e della relativa capacità di interpretare i fatti: più consumiamo notizie on-line, più teoricamente avremmo bisogno di una spiaggia, sia essa fatta di carta o di altri materiali poco importa, dove non solo rilassarci ma trovare approfondimenti, valutazioni, prese di posizione anche critiche.
La cultura (spesso sub-cultura) televisiva imperante e la società dell’immagine nel suo complesso (vedi anche i social-network) da un lato hanno ampliato il ventaglio della comunicazione forgiando nuove forme e linguaggi inediti, dall’altro però contribuiscono anche all’affermarsi della falsa certezza che qualsiasi cosa possa essere ritradotta, spiegata cioè in parole semplici: è una sciocchezza, perché eventi o concetti complessi esigono un linguaggio complesso se non vogliamo ridurli a una semplificazione eccessiva (che vuol dire banalizzare) o farne un tam-tam orizzontale sul tipo della mucca pazza dell’informazione (informazione, cioè, che si nutre di altra informazione e che perde la vicinanza dai fatti).
Dove voglio andare a parare? È chiaro che gli strumenti della comunicazione non siano mai buoni o cattivi a prescindere. Dipende dall’uso che se ne fa. Il rischio è che la moneta cattiva finisca per scacciare la buona: Internet, che della società mondializzata e globale è decisamente l’emblema più conosciuto e celebrato, è anche un luogo in cui tutto è messo sullo stesso piano e dunque tutte le vacche sono nere (e nel museo della tradizione divenuto globale Dante vale in fondo quanto Paperino…).
In questa generalizzata confusione si colgono preoccupanti segnali di una omologazione schiacciata verso il basso. Solo un esempio circoscritto per concludere. Sono stato presente, a Varese, alle manifestazioni indette per la festa della Repubblica. È noto il risalto che, su tutta la stampa nazionale, è stato dato al rumoroso silenzio dovuto all’assenza dell’Inno nazionale. Ora posso affermare, salvo errore, che la mancanza dell’Inno è stata dovuta a cause di natura tecnica e non è stato, viceversa, un piano prestabilito con finalità politiche.
Dal momento che era l’unica cosa che "mancava", questa è diventata l’unica notizia, rispetto alle cerimonie varesine col relativo contorno di polemiche.
Credo sia superfluo da parte mia ribadire quanto mi trovi distante dalle posizioni della Lega e dai miraggi separatisti. E tuttavia bisognerà pur dire che non è sufficiente per fare buon giornalismo estrapolare un singolo dato dal contesto e poi montarlo in solitario come un brillante.
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