Il mondo è nel pallone / Vol. 2
Seconda puntata con i nostri corrispondenti all'estero che ci raccontano la vigilia del Mondiale. Ora tocca a Spagna, Giappone e Inghilterra
Abbiamo cominciato con Francia, Usa, Sudafrica e Brasile per dare uno spaccato di come il mondo si sta preparando ai Mondiali di calcio, proseguiamo ora con altri tre Paesi utilizzando nuovamente gli "occhi" di alcuni emigranti targati Varese. Mauro, Jacopo Marco e Francesco Piero guardano per voi lettori di VareseNews quello che accade in Spagna, Giappone e Inghilterra – due favorite e una outsider sempre molto attesa – e ci raccontano le speranze e i modi con cui si attendono i risultati dai campi.
QUI SPAGNA (di Mauro Barbazza da Barcellona) – ¡Podemos! Questo era il motto dei mezzi di comunicazione due anni fa in occasione dell’Europeo di Germania e Austria. Per l’ennnesima volta la Spagna si presentava con giocatori fortissimi e grandi aspettative, per l’ennesima volta alcuni prevedevano una debacle ai quarti, storicamente lo scoglio insuperabile per La Roja, ma in generale si respirava un ottimismo insolito.
Podemos.
E cosí fu. La Spagna superó tutti i suoi tabú, soprattutto quello italiano ai quarti (Tassotti-Luis Enrique, ricordate?), vincendo meritatamente e con il miglior gioco la competizione. Da allora ha infilato una serie di prestazioni e risultati che ne fanno la favorita per questo mondiale 2010. Purtroppo il simpatico podemos si é trasformato in ganaremos, dimostrando quell’incapacità di saper vincere di chi non é mai stato abituato a farlo e vede la possbilità concreta di rifarlo. Ed é cosí che si respira ottimismo a oltranza, giá si parla della festa e alcuni giornalisti parlano dello "stadio in cui l’11 luglio alzeremo la coppa".
Insopportabili.
L’effetto che tutto ciò ha su di me è quello che che ebbe a suo tempo con l’Europeo, e cioè che tiferò qualunque squadra si interponga tra la Spagna e il Mondiale (la Francia, beh con loro forse ci penserò!). Non sono mai stato un grande tifoso della nazionale italiana ne credo che mai lo sarò. Certo preferisco una vittoria tricolore a che siano Casillas, Mascherano o Gerrard ad alzare il trofeo, ma non mi toglierà il sonno. Soprattutto il nocciolo della questione sarà fare squadra con qualche amico profondamente catalanista-anti-nazionale-spagnola e gufare a piú non posso (cosa in cui, da milanista, mi sto ahimè specializzando)
Godiamoci questo mese di follia socio-calcistica, e soprattutto che NON vinca il migliore!
QUI SPAGNA 2 (di Jacopo Zocchi da Malaga) – Poche ora all’inizio del mondiale, nessuno osi dire che Sud Africa-Messico non sia una partita interessante, per quanto mi riguarda è un partitazo (come si dice da queste parti), come lo sarebbe anche Corea del Nord – Honduras.
Qui l’attesa è spasmodica, non si parla d’altro, qualsiasi iniziativa pubblicitaria fa riferimento alla roja, la free press per le strade oltre al "quotidiano" ti mette in mano lo speciale dei mondiali, gli spagnoli (giustamente) si sentono favoriti. Ma forse esagerano, come han fatto in occasione di Barcellona-Inter, nel "pompare" la squadra.
Un mio compagno del club remiero se ne va sei giorni in Sud Africa grazie al fatto che assomiglia a Victor Valdes (terzo portiere della seleciòn) e ha vinto un concorso nazionale. Io e i miei amici mostriamo precauzione, non abbiamo una squadra forte, non siamo quelli di quattro anni fa, ma in realtà sogniamo i quarti di finale il 3 luglio contro la Spagna, sogniamo di fare il bagno in Plaza de la Constituciòn e rischiare il linciaggio da malagheni inferociti.
La guarderò al pub la prima dell’Italia e nel caso andasse bene dovremo ritornarci con stessi vestiti e stesso ordine di posti, così ha stabilito il mio coinquilino di sangue napoletano.
Probabilmente è vero, non ci ricordiamo di 25 aprile e 2 giugno, ma di fronte alla nazionale sembra che davvero esista un sentimento e un orgoglio patriottico.Tutti uniti in terra straniera per non sfigurare dinnanzi ai loro Torres e Fabregas, cantando l’inno compreso l’urlo finale. E lasciamo solo Renzo Bossi a giocare il mondiale per nazioni non riconosciute.
QUI GIAPPONE (di Marco Bogni da Tokyo) – Per Tokyo, e per il Giappone, quella del mondiale è un’occasione in più per addobbare a festa centri commerciali e negozi.
Qtokyu e varie altre catene a Shibuya e Shinjuku hanno sostituito le più quotidiane decorazioni a base di fiori e stelle con altre a tema calcistico a tempo record negli ultimi giorni.
A dire il vero le maggiori testate e i telegiornali hanno dedicato moltissimo dei loro spazi, in questo periodo, al passaggio del premierato dalle mani di Hatoyama a quelle del neo-eletto Kan Naoto, e non si percepisce un clamore eccessivo legato all’evento (ma questo non vuol dire che la gente non ne parli).
La preoccupazione principale è legata al girone iniziale, che vede il Giappone impegnato con Camerun, Danimarca e Olanda, decisamente non aiutato dai sorteggi e a rischio di un’uscita di scena molto rapida.
L’altra sera, chattando con un’amica varesina: «Per fortuna sei lì e magari non devi sorbirti tutto questo casino!» ma dimenticava che sarò "in mezzo". La prima parte in Giappone. Poi, in pieno effetto nostalgico di ritorno, in Italia.
Potrei quasi sentirmi a casa.
QUI INGHILTERRA (di Francesco Piero Zocchi da Sheffield) – Le prime bandiere alle finestre sono apparse un mese fa. Ora,a poche ore dal calcio di inizio, la febbre mondiale ha raggiunto temperature elevatissime. Sheffield, città divisa per 40 settimane fra le "civette" del Wednesday e i biancorossi dello "United", si ritrova unita sotto la Croce di San Giorgio. Non c’é angolo, negozio, pub che non inciti gli 11 leoni inglesi, o almeno non cerchi di trarre profitto dall’evento mondiale. Una moltitudine di auto fa sventolare le bandiere nazionali (mai l’Union Jack!) dai propri finestrini. Parlando con loro non sembrano molto speranzosi, ma forse le brucianti sconfitte delle ultime rassegne hanno portato un po’ di superstizione anche qui. Domani si ritroveranno in gruppo, chi al pub (la maggioranza), chi a casa pinta in pugno, davanti ad uno schermo. Al grido di "C’mon England! Bring it home", affidandosi al genio e per una volta alla disciplina e al rigore di un italiano.
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