Una ‘ndrangheta “piramidale” e verticistica, come Cosa Nostra

L'operazione denominata "Il Crimine" è stata paragonata dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, alla collaborazione di Tommaso Buscetta. I boss intercettati e filmati nei loro "santuari". Millecinqucento i loro "soldati" nei quindici "locali" lombardi accertati


Una potenza enorme, ma proprio per questo non inafferrabile. La ‘ndrangheta in Lombardia è una realtà radicata da decenni, organizzata in modo verticistico e piramidale né più né meno che Cosa Nostra. Ed è questa la più importante novità della maxioperazione Il Crimine: un cambiamento di paradigma paragonabile a quello causato dalla collaborazione di Tommaso Buscetta con Giovanni Falcone. Così si è espresso, salutando con grande soddisfazione l’esito dell’indagine, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso (foto a sin.) nella conferenza stampa organizzata nel pomeriggio di martedì presso il tribunale di Milano, presente la crema dell’antimafia sull’asse Milano-Reggio Calabria. Sono state infatti le due procure, con la valida collaborazione delle forze dell’ordine territoriali e non, ascoperchiare il calderone dell’affarismo malavitoso e dei delitti dell’organizzazione.

Una verticalità spietata: quando con Carmelo Novella vi fu un tentativo di rendere “autonoma” la Lombardia dall’organizzazione madre, dalla “provincia” o “crimine” di Reggio Calabria, scattò l’assassinio, il 14 luglio 2008, in un bar di San Vittore Olona, a due passi da Legnano, sede di uno dei quindici “locali” di ‘ndrangheta fin qui identificati in Lombardia. Due killer professionisti, di cui uno indicato in Antonino Belnome, lo freddarono pubblicamente. Mandate dell’assassino sarebbe secondo gli inquirenti Vincenzo Gallace, capocosca di Guardavalle (il paese di Novella) e personaggio di spicco nella “provincia” ‘ndranghetista reggina. Circa il delitto che a quello di Novella seguì, l’uccisione di Cataldo Aloisio, abbandonato davanti allo stesso cimitero in cui riposa Novella, “le indagini sono tuttora in corso” e non rientrano nelle oltre trecento ordinanze d’arresto odierne.

Introduceva la conferenza stampa il procuratore di Milano Bruti Liberati, lasciando la parola al suo predecessore Manlio Minale sotto il cui mandato si è dipanata questa doppia indagine che dal capoluogo lombardo e dalla città sullo Stretto si è richiusa a tenaglia sui maneggi della mala calabrese. “Una mutazione genetica” quella della ‘ndrangheta per Bruti Liberati: dai reati tradizionali “a forme non meno pericolose di controllo di interi settori economici” con significative infiltrazioni anche negli enti locali, come dimostrato fra gli altro anche dall’arresto del direttore sanitario dell’Asl di Pavia, Chiriaco. Minale ha ricordato come già nel 1994 la maxioperazione La Notte dei Fiori di San Vito avesse scoperchiato un quadro abbastanza vicino all’attuale, ma sono evidenti mutamenti avvenuti nel frattempo su finalità e compiti operativi, ma anche con l’avvicinamento al mondo imprenditoriale: il tentativo di giungere a controllare la Perego, una delle maggiori imprese lombarde negli appalti, ne è la dimostrazione. Ma soprattutto sono cambiati i rapporti con la “casa madre” calabrese, che verificata la lucrosità dell’”affare Lombardia” ha stretto le maglie del controllo. Una ‘ndrangheta che in Calabria ha un controllo capillare – dalle intercettazioni di un boss di una ‘ndrina emergevano non meno di 250 affiliati in una cittadina come Rosarno, sui quindicimila abitanti – ma che anche in Lombardia può contare su circa millecinquecento fra “soldati” e capi.
La Lombardia dopo l’affare Novella è finita addirittura “commissariata” con la nomina di Salvatore Zappia al ruolo, temporaneo ed elettivo, di rappresentante per questa “provincia” dell’impero ‘ndranghetista, esteso dall’Australia al Canada e alla Germania passando per le regioni del Nordovest italiano, abbondantemente “colonizzate” (allarmante anche la situazione in Liguria, specie nel Ponente). Movimento terra, business dei rifiuti, immobiliare gli interessi, l’usura dietro le quinte, onnipresente, nel silenzio assoluto delle vittime, che negano anche di fronte alle intercettazioni, come rimarcherà con preoccupazione il magistrato Ilda Boccassini.

Il procuratore di Reggio Calabria Pignatone ha sottolineat l’ottimo scambio di informazioni fra le Procure e i diversi corpi delle forze dell’ordine coinvolti (carabinieri territoriali e non, Ros, Dia, questure) e, come già Boccassini, la fondamentale importanza delle intercettazioni ambientali e telefoniche, con tanto di filmati, oltre a più classiche metodiche d’indagine. I boss sono stati intercettati “là dove si sentivano più sicuri”: e ciò ha permesso di ricostruire l’organizzazione verticistica della ‘ndrangheta, di confermarne la ritualità. Momento chiave per la definizione degli equilibri di potere, un matrimonio con migliaia di invitati tenutosi a Platì nel mese di agosto scorso: fu lì che le ‘ndrine si accordarono per fare di Domenico Oppedisano il “capocrimine”, il boss supremo, carica sempre temporanea ed elettiva, in una sorta di perversa democrazia interna. In seguito, il 2 settembre a mezzogiorno, come voleva il rituale, si confermò la scelta con un ritrovo al Santuario di Polsi, luogo aspromontano ricco di suggestione e ben noto come ritrovo anche simbolico degli uomini della ‘ndrangheta. Un luogo che, dirà il questore reggino Casabona, va restituito all’originaria dimensione religiosa e spirituale. E’ dalla nomina di Oppedisano che poi a scendere, si arriva a quella del “mastro generale” per la Lombardia, Salvatore Zappia, che avrebbe dovuto concludere il suo “mandato” in agosto. La “provincia” reggina tutto vede e comanda, come rimarca anche il procuratore nazionale antimafia Grasso: le intercettazioni vedono boss da un angolo all’altro del mondo, dall’Australia alla Germania, da Milano a Toronto, dirsi che nulla si può fare senza l’approvazione della casa madre. Col che una ‘ndrangheta fin qui vista come una congerie di famiglie "orizzontale" acquista una dimensione ancora più allarmante, confermando la tendenza di ogni organizzazione criminale potente a strutturarsi in forma piramidale. Come dirà Boccassini, particolarmente deprimente, infine, è la circostanza aneddotica che vede la riunione (una delle periodiche “mangiate” insieme) in cui i boss individuarono in Zappia il reggente per la Lombardia, avvenire all’interno di una struttura pubblica, in una sala intitolata a Falcone e Borsellino (!) di un centro ricreativo anziani, il cui uso era stato concesso da “amici” pur forse ignari dell’esatta importanza dell’occasione.


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Pubblicato il 13 Luglio 2010
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