“Altro che strumentalizzati. Ci sentiamo presi in giro”
Intervista a uno studente di scienze politiche alla Statale di Milano: "Scendiamo in piazza per far capire che c’è qualcosa che non va"
Sono ormai mesi che gli studenti scendono regolarmente in piazza per dire no alla riforma Gelmini. Occupazioni, cortei, picchettaggi e molto altro ancora. Abbiamo intervistato Marco, uno studente di Scienze Politiche della Statale di Milano per farci raccontare il perchè di queste manifestazioni.
Cosa non vi piace della riforma universitaria del governo?
«Tutto. È un provvedimento che non dovrebbe essere neanche discusso, andrebbe subito cestinato: si tagliano i fondi, si affidano di fatto le università pubbliche ai privati, si nega il diritto allo studio tagliando le borse di studio del 90% e si distrugge la ricerca. Tutti sentiamo il bisogno di una radicale riforma universitaria, ma non è questo il modo di farla».
Entrando nel merito, se i soldi non ci sono come si può finanziare l’università?
«Alle università negli ultimi 2 anni sono stati tagliati un miliardo e mezzo di fondi. Sono stati tagli dettati solo da logiche economiche. Ma il problema è che quei soldi agli atenei servono e ovviamente si prendono da noi studenti! Quindi oggi noi ci troviamo a pagare tasse universitarie che sono del tutto fuori legge. Con la scusa della crisi si sta affossando il sistema dell’istruzione pubblica ma i soldi ci sono, basterebbe solo prenderli da altre parti».
Altre parti come…
«Ad esempio si potrebbero eliminare da subito i sempre più copiosi finanziamenti alle scuole private. Oppure si potrebbero prendere abbattendo le 620mila auto blu che abbiamo in Italia o ancora tagliando la spesa militare. In tempo di vacche magre il ministero della difesa ha appena speso 14,5 miliardi per comprare caccia militari!»
E non potrebbero essere i privati entrati nei consigli d’amministrazione delle facoltà a far fronte a questi tagli?
«Sì, ma a meno di non trovare qualche filantropo, ogni imprenditore che investirà nel sistema universitario si aspetterà un ritorno in denaro maggiore di quello iniziale. In questo modo sarà il privato a dettare legge negli atenei e i rettori saranno tenuti in scacco dalla minaccia del ritiro dei finanziamenti».
E per quanto riguarda la ricerca?
«Ma senza soldi di che ricerca si parla? In Italia si crede che i soldi investiti nella ricerca siano soldi buttati ma questo non è vero. La ricerca, nel lungo periodo, rende molto! Tutti i paesi l’hanno capito e per questo la ricerca viene finanziata. Solo da noi si taglia e basta».
Il ministro Gelmini dice che gli studenti non devono farsi strumentalizzare e devono leggere il testo della sua riforma.
«Io mi chiedo se lei l’abbia mai letta! Parla di “riforma epocale” quando nel testo della riforma si legge per almeno 24 volte “senza oneri aggiuntivi per lo Stato”. Come si può migliorare qualcosa se l’unico pensiero è quello di non spendere un centesimo in più? Questo genera molta rabbia. Ci sentiamo presi in giro. In base a pure logiche economiche vediamo il nostro futuro sfuggirci dalle mani ma non possiamo e non dobbiamo permetterlo».
Ed è per questo che scendete in piazza?
«Noi scendiamo in piazza per far capire che c’è qualcosa che non va. Spesso la gente, narcotizzata da dozzinali programmi televisivi, non è a conoscenza del tentato omicidio che si perpetra nei confronti delle scuole pubbliche. Noi quindi, durante i cortei, facciamo quello che i grandi giornali non fanno: informiamo».
Ma a volte le manifestazioni di piazza finiscono in scontri contro le forze dell’ordine.
«Questo non è vero. Non sono le manifestazioni a finire in scontri, ma sono una piccola minoranza di manifestanti. Se pensiamo a Roma, settimana scorsa c’erano oltre 100mila persone e quelli che si sono dati alle violenze erano neanche 200. Ma per non rispondere alle questioni politiche che la piazza poneva, ci si è solo concentrati su quel manipolo di violenti. È un escamotage che si cercherà di riproporre anche oggi ma io spero che la gente non ci caschi per l’ennesima volta».
Però molti studenti solidarizzano con quei gruppi violenti
«Quando sono diversi anni che non si viene minimamente ascoltati può capitare che la tensione esploda in modi violenti. E’ una cosa sbagliata, lo so, ma purtroppo può capitare».
Ma in questo modo non rischiate di inimicarvi l’opinione pubblica?
«Non ne sarei così certo. Io nella mia vita ho fatto molte manifestazioni e non ho mai visto così tante persone alle finestre o bloccate nel traffico applaudire i manifestanti in corteo. Noi siamo la sentinella di un malessere nel Paese ed è per questo che la politica ha paura di noi. Gli studenti riaccendono la passione civica di tutta la popolazione. Non a caso il 68 studentesco ha aperto al 69 operaio. E la paura che la storia si ripeta è altissima».
Dopo il 22 dicembre cosa succederà?
«Ovviamente le proteste continueranno e saranno sempre più forti. Non possiamo permettere che il nostro futuro venga distrutto e ci batteremo per questo. Tanto, non abbiamo nulla da perdere!».
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