Briciole di ricchezza per metà degli italiani
Il 45% della ricchezza è in mano al 10% della popolazione. Il 10% se lo dividono la metà dei cittadini. Uno squilibrio economico che tiene bloccato il paese
Immaginate di ritrovarvi con altri nove amici a preparare una bella torta. Una volta cucinata, al momento di mangiarla, uno di loro fa le parti e ne tiene per se una buona metà. Per cinque dei commensali poi ne resta appena una fettina minuscola, e gli altri quattro si dividono il resto.
Questa è la situazione del nostro Paese, dove secondo la Banca d’Italia il 10% della popolazione detiene il 45% della ricchezza e per metà della popolazione restano poco più delle briciole con il 9,8%.
"In Italia – scrive l’organismo mondiale dei paesi più sviluppati – disuguaglianza e povertà sono cresciute rapidamente durante i primi anni novanta. Da livelli simili alla media OCSE si é passati a livelli vicini a quelli degli altri paesi dell’Europa del Sud. Da allora la disuguaglianza é rimasta ad un livello comparativamente elevato. Tra i 30 paesi OCSE oggi l’Italia ha il sesto più grande gap tra ricchi e poveri".
Esiste una formula matematica per indicare questo stato e si chiama "indice Gini". Misura il livello di concentrazione della ricchezza e subisce variazioni minime da anni, segno di una situazione davvero statica con piccole oscillazioni a seconda di chi governa.
L’Italia si sta rassegnando a questo dato tanto che sui giornali la ricerca della Banca d’Italia è stata confinata in piccoli spazi delle pagine economiche. I partiti dell’opposizione non ne parlano e tutto sembra normale.
Altri due dati sono emblematici della situazione del Paese: la disoccupazione e l’utilizzo della cassa integrazione. Quanto alla prima, secondo l’Istat, siamo di fronte a numeri record con intere regioni che hanno un tasso a due cifre. Un quarto dei giovani non trova lavoro. Una vera emergenza nazionale, mentre le preoccupazioni della politica sono tutte legate alla tattica. Occhi puntati sul Terzo polo, su Casini, i finiani e quattro siciliani. Pagine e pagine di giornali sul mercato della "compravendita" di deputati alla Camera per passare da una parte all’altra.
Un miliardo di ore di cassa integrazione, e nessuno che sollevi la questione di cosa fare di così tante energie di tempo liberato. Un costo sociale da fare spavento, senza che si riesca a dare sbocco a tante risorse.
Mentre al Senato si consuma l’ulteriore strappo con il mondo della formazione, l’Italia taglia fondi alla cultura, all’istruzione e alla ricerca e non cresce. In Germania si tagliano le spese ma non le stesse del nostro paese, e le previsioni per il 2011 sono di una crescita poderosa.
Avrà anche ragione il ministro dell’economia Tremonti che è semplicistico ragionare così. Ha di certo ragione per la sua parte politica che, malgrado i dati reali, continua a riscuotere consensi. Si capisce meno l’opposizione. A quel 50% dei cittadini a cui rimane una striminzita fetta di torta, più piccola di quella che si mangia da solo l’1%, che se ne detiene il 12,5%, qualcuno dovrà pur dir qualcosa? In modo serio, non populista o prapagandisco, e senza demagogia.
Andare verso una società colma di disuguaglianze non conviene a nessuno, nemmeno all’1% così tanto ricco. Non è solo una questione etica, ma economica.
E se ripartisse da qui la discussione?
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