Diceva “Vincere senza doping si deve”, grazie Aldo

La fatica, il dolore, la sofferenza, si battono rilanciando l’andatura: il giornalista Lorenzo Franzetti ricorda il direttore del centro Mapei Sport di Castellanza, preparatore di tanti campioni, tra cui Cadel Evans e Ivan Basso

Se n’è andato anche Aldo. Da qualche giorno avevo il terrore di ricevere questa notizia, ma tutte le mattine tiravo un sospiro di sollievo quando lo “incontravo” su Facebook, per uno scambio di battute. Lunedì mattina, invece, la sua pagina virtuale è rimasta immobile. Sono andato a rivedere cosa aveva scritto, soltanto pochi giorni fa, per ricordare le vittime della tragedia di Lamezia Terme: “in certe situazioni il dolore non può che essere l’inizio per intraprendere nuove azioni”.
Un maestro di sport e di ciclismo non dirà mai ai suoi allievi di arrendersi: e così, Aldo ha vissuto la sua agonia, giorno dopo giorno, continuando a lottare, a rilanciare la sfida, a pensare agli altri e al domani, come se fosse tutto normale. La fatica, il dolore, la sofferenza, si battono rilanciando l’andatura: ecco il segreto del ciclismo, uno sport abituato alle imprese apparentemente impossibili.
In meno di un anno ho perso due amici veri ed è un colpo micidiale per chi, come il sottoscritto, di amici nel ciclismo non se n’è mai fatti tanti. Prima Franco (Ballerini) e poi Aldo (Sassi): e ora, non soltanto io, ma tutto il ciclismo si sente disorientato.
Sassi ha allenato grandi campioni, i nomi sono noti: Basso, Bettini, Cancellara, Ballerini, Freire, Evans e tantissimi altri corridori. Ma per quelli come me ha rappresentato un riferimento certo e fidato, in mezzo a una giungla di arrivisti, bugiardi, trafficoni che da molti anni stanno rovinando il ciclismo. «Aldo, mi devo fidare?» Tante telefonate o incontri partivano dalla stessa domanda su questo o quel corridore, su una vicenda piuttosto che su una vittoria di un campione. Sassi rispondeva sempre con pochissime parole e con un cenno col capo. L’ultima volta abbiamo parlato di Riccardo Riccò, corridore discusso e dal passato discutibile, che Aldo Sassi ha voluto tra i suoi “allievi” come ultima grande scommessa: e soltanto qualche settimana fa, parlava di test e di programmi che avrebbe fatto con il corridore per il 2011. Come se fosse tutto normale, perché la vita continua.
Oggi leggo e rileggo i titoli dei quotidiani e le tante belle parole che Aldo Sassi riesce a ispirare ai giornalisti: quando muore un giusto, ognuno di noi vorrebbe celebrarlo e firmare qualcosa d’importante per lui. Ma spesso si finisce con l’autocelebrarsi.
Aldo Sassi ha dato una speranza concreta al ciclismo, a uno sport dato per finito: mi auguro che i suoi tanti e giovani allievi proseguano ora, più battaglieri che mai, a insegnare lo sport con i suoi valori autentici. Perché Sassi non diceva “Si può vincere senza doping”, come molti hanno riportato. Aldo diceva: “Vincere senza doping, si deve”, che è molto diverso. Il ciclismo, ma Sassi spesso allargava il discorso allo sport tutto, ha bisogno prima di tutto di scelte etiche e poi di regolamenti antidoping. E ci credeva, Aldo: e appena di confrontavi con lui, ti coinvolgeva. Ho dubitato tante volte e dubito ancora sulla credibilità del ciclismo, ma Sassi, quando era convinto, t’invitava ad andare a vedere i suoi campioni, a toccare con mano, a fidarmi: e, per fortuna, ha sempre avuto ragione. Se ci credo ancora, è anche grazie ad Aldo.

 

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Pubblicato il 14 Dicembre 2010
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