
Dunque, non è una follia poter pensare ad una musica che dispensa pace. Che alla pace non guarda con l’intenzione delle parole ma con i fatti del gesto. Quello musicale, quello alla tastiera. Quello di un
Johann Sebastian Bach che, protestante, ripensa il “corale” della liturgia tedesca attraverso le proprietà espressive dell’iraniano
Ramin Bahrami, presente l’altra sera nella sala
Rossini di Villa Ottolini–
Tosi di Busto Arsizio per dirci, ancora una volta, che Bach è il Tutto e l’Infinito. E che gli applausi vanno a Bach e non ai musicisti. Adottato italiano all’età di 11 anni dopo la fuga da Teheran, dove il padre trova la morte per mano degli
Ayatollah,
Bahrami segue i consigli del genitore – che lo spinge allo studio profondo del Kantor di Lipsia – e cresce con Piero Rattalino. Per poi trovare la sua maturità al fianco di Rosalyn Tureck, che di Bach era una “pasionaria” poco stravagante e tanto severa. Bahrami e Bach sono, da anni, una coppia indisciplinata, visionaria, estetica sino al midollo. Capace di risollevare dalla polvere la convinzione di Edward Said: “La musica ha in sé qualcosa di sovversivo”. Così come lo è il progetto del West-Eastern Divan disegnato e realizzato dallo stesso Said con Daniel Barenboim. Un’orchestra dove i palestinesi suonano gomito a gomito con gli israeliani e tutto il resto del mondo arabo. Dice, Baremboim: «Musica e religione condividono un’ansia comune per il rapporto fra gli essere umani, e fra l’uomo e l’universo. L’impegno nella musica esige una ricerca incessante dell’interezza nonostante l’infinita diversità presente in ogni singola opera». Bahrami rincorre l’equilibrio, lo rintraccia e lo fa proprio. Per alcuni si tratta della reincarnazione di
Glenn Gould, per altri Bahrami è un esempio coscienzioso e riservato (per pudicizia musicale) di ciò che dovrebbe essere il concertista oggi. Nulla di esageratamente ginnico e nulla di quell’atteggiarsi inquinato da prima donna che lo stesso Ramin condanna. Piuttosto, Bach ancora una volta. Che nelle parole del giovane pianista «assomiglia al mondo che immagino ancora possibile. È un compositore tedesco, ma si innamora del ritmo
siciliano, dove sono presenti influssi arabi; assimila le emozioni e le forme più diverse della musica del suo tempo, senza distruggerle. La
Ciaccona è una danza che nasce nel Centro-America! Unisce il rigore e la fantasia, ascolta, restituisce, restando se stesso; collega, non separa. Ha la mente e il cuore aperti: magari la sua musica potesse parlare ai politici!». Magari.
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