“Mi sento giovane e da grande farò l’imprenditore”

"Il mondo è cambiato e noi non abbiamo capito per tempo". Serafino Memmola racconta i giorni della crisi della Cobra, ma crede che ci sia ancora un grande futuro per l'industria

memmola cobra“Il mondo e il mercato sono completamente cambiati. In questi trentasette anni di attività ho creduto sempre alla crescita, anche se questa non sempre è stata proporzionata. Negli ultimi tempi le tecnologie sono cresciute velocemente e si fa fatica a innovare alla stessa velocità. Così i progetti hanno un ciclo di vita molto corto e la competitività non ti dà tregua. Se aggiungiamo poi gli aspetti finanziari, ci si rende conto che nel giro di pochi anni siamo entrati davvero in un altro mondo”. 

Serafino Memmola non gira intorno alle cose. Da giugno, anche se resterà legato in modo forte alla Cobra elettronica, non sarà più lui a guidare l’impresa
È un uomo concreto, e quanto sta vivendo la sua azienda, la sua creatura nata quasi per gioco nel lontano 1973, non gli ha fatto perdere lo spirito che lo ha animato fin qui. Ottimismo e fiducia sono le parole che riecheggiano spesso nella lunga intervista in cui racconta un pezzo di storia industriale, ma anche progetti per il futuro.

Partiamo dalle reazioni dei suoi dipendenti. Perché tanto affetto e soprattutto tanti riconoscimenti proprio nei giorni in cui ha comunicato la cessione ai tedeschi del fondo di BLUO?
«Perché hanno fiducia in quello che dico. In questi anni sono stato con loro, fianco a fianco. Li conosco uno a uno e sono qui da 39 anni. Sono un uomo che si emoziona e che non ha paura a farsi conoscere. I miei collaboratori hanno sempre potuto contare su di me. Ho finanziato l’azienda finché ho potuto e ho sempre cercato, e spesso trovato, soluzioni. Sono stato il primo a mettere soldi quando abbiamo deciso l’aumento di capitale. Insomma, mi vedono e sentono vero».
 
memmola cobraOggi però gli stessi le chiederanno le garanzie per il futuro. Cosa può rispondere ai suoi collaboratori?
«In questi mesi abbiamo cercato diverse soluzioni e siamo andati vicini al poter mantenere l’attuale assetto aziendale stringendo accordi societari e industriali con una società nostra concorrente, ma anche complementare. Poi è saltato tutto. A quel punto abbiamo optato per BLUO perché ha una visione del business nel medio e lungo periodo. Loro non hanno problemi finanziari e questo legato a una gestione attenta permetterà all’azienda di vivere e svilupparsi. Resteranno qui e noi li aiuteremo».
 
Ma cosa è successo? Solo nel 2006 la Cobra sembrava spaccare il mondo. E poi?
«Il 2006 è un anno importante per noi. Teniamo conto che malgrado i volumi sviluppati e un buon numero di addetti, noi restiamo piccoli. Di qualità, ma pur sempre piccoli. Comunque stavamo andando benissimo. Basti pensare che abbiamo deciso di quotarci in Borsa. Abbiamo scoperto tardi che gli investitori credevano moltissimo alla nostra realtà tanto che ci avrebbero dato 17 volte tanto quello che chiedevamo. Pensi che era possibile incassare oltre 500 milioni di euro invece di 42. Ma ora non serve a niente stare a rammaricarsi. Nel 2007 abbiamo avuto il miglior risultato della nostra storia sfiorando i cento milioni di fatturato, ma soprattutto avendo un utile significativo. Nello stesso anno ho ricevuto il premio come miglior imprenditore. Insomma, tutto andava a gonfie vele e noi ci comportammo come abbiamo sempre fatto: investendo tutto il capitale. Solo un anno dopo il mercato è crollato. Non lo abbiamo capito subito. Questa non è una crisi, ma la crisi di un sistema. Noi non siamo stati capaci di reagire perché non avevamo capito quanto fosse profondo e duraturo il cambiamento».
 
memmola cobraQuali sono gli errori commessi?
«Di fronte a un ostacolo, con l’auto lanciata in corsa, si dovrebbe rallentare e frenare. Noi non lo abbiamo fatto. Abbiamo pensato che sarebbe stato sufficiente sterzare e spostarsi di lato. Avremmo dovuto sapere che questa crisi sarebbe durata, e invece abbiamo continuato a pagare gli investimenti senza vedere alcuno sbocco di mercato. Prendiamo la Toyota che era uno dei nostri migliori clienti: l’azienda ha chiuso le sue strutture in Europa per i prodotti di servizio all’auto come i nostri. Questa situazione era impensabile cinque anni fa».
 
E ora come sta la Cobra?
«L’azienda è sana e ci sono risorse valide. Altrimenti perché mai i tedeschi sarebbe venuti a investire qui? Siamo una società certificata e siamo affidabili. Lo dicono i costruttori automobilistici che ci scelgono tra tanti concorrenti. È un onore avere questi riconoscimenti per la qualità e soprattutto per la capacità di innovazione che la Cobra ha dimostrato di avere. Noi non siamo cambiati e all’80% siamo quelli di prima della crisi. Certamente non abbiamo trovato l’energia per gli sbocchi di altri mercati. Avevamo la testa in troppi progetti e per far fronte alle difficoltà finanziarie avremmo dovuto effettuare tagli ai costi, compreso il personale. Questa crisi è internazionale e fare competizione in altri mercati non è facile. Noi credevamo che fosse importante aprirsi e localizzare altri business non delocalizzare».
Che futuro vede?
«Sono un imprenditore che pensa alle risorse per creare valore. La prima cosa che costringe a fare la sofferenza finanziaria è tagliare gli investimenti e le spinte innovative. Così non c’è più futuro. Le banche sono sempre disponibili quando si va bene. Nei momenti di crisi diventano invece uno degli attori dei problemi del mercato. Noi non avevamo più le armi per cambiare atteggiamento verso questa crisi pesante. L’indebitamento era troppo pesante per noi».
memmola cobraChe prospettive ha il manifatturiero oggi?
«Per dare una risposta occorre tenere conto che la competizione è molto più dura e difficile di anni fa. Poi dipende di quale mercato e quale settore si parla. Il settore automobilistico oggi è il più tartassato. In ogni caso io credo che ci sia sempre una soluzione ed è questa che cerco. Certo, oggi siamo di fronte a una grande e pericolosa demotivazione. Le persone sono spaventate e sfiduciate. Uno dei motivi è il fatto che noi abbiamo la capacità di risolvere i piccoli problemi, le cose piccole. Ognuno sa decidere in casa propria e sa cosa deve fare. Qui siamo di fronte a scenari completamente nuovi e non si riesce a trovare le soluzioni. Per questo credo che si debba ripartire dalle proprie realtà».
 
Questo però non crede che mandi definitivamente in soffitta un modello di impresa “paternalistica”? È simbolico che la sua azienda muova i primi passi proprio mentre la Ignis passava in mano agli olandesi.
«In effetti ci sono delle similitudini con Borghi. In comune c’è la volontà di sentirsi utile. Essere positivo e creare qualcosa che ha valore per la gente e soprattutto per le persone che lavorano insieme. Far partecipare i collaboratori alla creazione del prodotto alimenta la soddisfazione di chi lavora, e per me la cosa più importante in azienda è la crescita delle risorse umane. Il mio sogno era completare un progetto che facesse avere a ogni dipendente un curriculum sempre aggiornato da cui emergesse la propria crescita professionale. Ho sempre creduto alla partecipazione, e nel 2000 è stata fatta una classificazione dei ruoli partendo direttamente dalla base. Un’idea fatta subito propria dal sindacato. A quel tempo era una novità assoluta e andava ben oltre i premi che noi davamo».
 
Tra poco compirà 69 anni. Cosa farà da grande?
«Mi sento giovane ancora perché sto tra i giovani e mi dispiace allontanarmi da quelli che sono qui. Proseguirò l’attività con la Cobra servizi e si tenga conto che saremo il maggior cliente del settore industriale, perché noi acquisteremo i loro prodotti per poi commercializzarli in modo completo. Io voglio bene a questa mia azienda e, anche se da giugno non sarò più qui, continuerò ad aiutare perché possa essere sempre più competitiva»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Febbraio 2012
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