La cura è necessaria per “non morire di dolore”

Eventi drammatici come il naufragio della Concordia o l'incidente in Svizzera sconvolgono la mente. L'ospedale di Como ha istituito un servizio di psicologia dell'emergenza

La nave ConcordiaVentidue ragazzini morti di ritorno da una gita scolastica in Svizzera. Venticinque morti nel naufragio della Costra Concordia. Trecento vittime nel terremoto dell’Aquila.
Le notizie di sciagure e tragedie riempiono spesso la nostra vita. La morte è un fatto ineluttabile, ma il suo arrivo, a volte, ci lascia sgomenti, incapaci di reazione. 
Capita a tutti ma il livello di shock emotivo varia di intensità e così il carico di danni che crea. 
Per far fronte al dramma di un’esperienza diretta è operativa all’ospedale Sant’Anna di Como un’unità di psicologi dell’emergenza, pronti a entrare in azione quando la ferita della psiche è profonda e dolorosa: « Il servizio fu costituito anni fa d’intesa con il responsabile del 118 comasco Landriscina – spiega il dottor Vito Tummino, responsabile del servizio di psicologia clinica – Pensato per gli operatori che dovevano affrontare esperienze molto difficili e delicate, si è poi allargato per soccorrere ogni vittima di danno psichico»
Tra gli interventi realizzati dall’equipe del dottor Tummino,  la strage di Erba in cui rimasero coinvolti i soccorritori e il terremoto dell’Aquila. 

«Una ferita della mente deve essere trattata come qualsiasi ferita del corpo. È come una spina che va estratta per poter curare la ferita e fare in modo che la ciccatrice non dia problemi. La ferita della pische non si vede ma le conseguenze sono pericolose. Rimangono latenti, come il fuoco sotto la cenere, ma non si assopiscono. Anzi, si alimentano di nascosto fino ad esplodere quando meno te lo aspetti. Si deve permettere al cervello di rielaborare razionalmente la realtà, dare dei nessi causali che portino ad accettare il nuovo presente. I danni subliminali vengono bloccati dal cervello. Ma, di nascosto, crescono, si ingigantiscono fino far esplodere le fragilità della persona. La memoria emotiva è sempre vigile, anche per eventi lontani, e lavora creando disabilità psicologiche crescenti»

Il dottor Vito TumminoDopo un evento traumatico, il nostro corpo e la nostra psiche reagiscono mettendo in atto meccanismi di autoconservazione.  La paura può provocare effetti contrastanti a seconda degli individui e delle circostanze, a volte  persino alterne nella stessa persona: accelerazione rapida delle pulsazioni cardiache o un loro rallentamento, una respirazione troppo rapida o troppo lenta…. 
 
Terminato l’evento traumatico, queste reazioni non cessano improvvisamente: l’agitazione somatica, la dissociazione delle emozioni e i ricordi ricorrenti intrusivi tendono a diminuire di frequenza e intensità nell’arco di un mese. Se durano più a lungo, si attribuiscono ad una sindrome post-traumatica (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD).Subentrano disturbi psicosomatici che vanno a colpire gli organi più deboli, molto spesso si manifestano disturbi del sonno e irritabilità. Ansietà, nervosismo, attacchi di panico e depressione possono esserne la conseguenza. Con la persistenza di questa sintomatologia è facile l’abuso di tranquillanti o di alcool; inoltre, con il tempo  è possibile notare un deterioramento nell’ambito lavorativo e sociale subentrano insonnia, tensione, difficoltà a pensare al futuro in  maniera positiva e un senso continuo di minaccia. 
 
L’intervento psicologico nell’emergenza deve seguire e tener  conto delle fasi del processo di traumatizzazione. Per esempio, immediatamente dopo il trauma, nelle prime 48 ore  successive, lo  stato psicologico del soggetto è oscillante tra la dissociazione la confusione e l’incredulità, un intervento basato sul solo dialogo non avrebbe efficacia.In questa fase bisogna stimolare in un primo momento i processi naturali che tendono a calmare la persona e a ristabilire l’equilibrio. In una seconda fase quando le persone hanno sintomi intrusivi, è importante che l’evento venga rivissuto, per poter rielaborarlo e risolvere il disagio. Sono importanti 3 passi nel trattamento: infondere una sensazione di sicurezza, trasferire strumenti per la gestione dell’ansia e facilitare l’elaborazione emozionale. È importante recuperare il senso di sicurezza e di fiducia, e di sentire protezione effettiva. 
Deve rimanere l’identità di prima, continuare a lavorare e ad amare come prima, farsi coinvolgere nelle cose della vita e con una buona apertura verso gli altri. 

« Recuperare il proprio equilibrio vuol dire costruire un ponte con il sistema cognitivo razionale, che avviene dando nome e significato all’esperienza traumatica» spiega il responsabile del servizio di psicologia dell’emergenza.
Non sono solo le grandi catastrofi a segnare profondamente la psiche di ognuno, qualsiasi evento improvviso e terribile scatena questo tipo di reazione: « Di solito quando ci si sente in pericolo di vita o si teme per la morte di famigliari. Ma anche quando si assiste impotenti alla tragedia come quei bambini che videro le persone gettarsi dalle torri gemelle in fiamme… In tutti questi episodi c’è l’impossibilità di dare una ragione razionale all’evento distruttivo. La nostra mente non è fatta per affrontare eventi distruttivi: razionalmente li accettiamo ma non a livello inconscio. Ecco perchè, quindi, si deve lavorare per costruire un ponte che ci permetta di affrontare la realta e adattarci a sopravvivere».

In genere, i trattamenti psicologici durano due o tre mesi: « L’importante è recuperare l’equilibrio. Accettare di farsi aiutarev per venir fuori dal trauma mentale»

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Marzo 2012
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