L’ultimo “lamento” di Arvo Part
Il nuovo cd della Ecm con musiche del compositore estone. Un disco meraviglioso, un setaccio che sgretola il nichilismo contemporaneo. Di Davide Ielmini
L’uomo, la parola, il significato. Il coraggio di parlare, in questo nostro secolo, di ciò che forse non interessa: la sacralità, il misticismo, la beatitudine. Di chi ha dedicato la vita alla preghiera di Dio, ma anche di tutti coloro che la vita l’hanno sacrificata nel nome del Signore, soffrendo ogni giorno.
La Ecm di Manfred Eicher, etichetta che non conosce sbarramenti ideologici o di gusto, pubblica “Adam’s Lament” (distribuzione Ducale Dischi) con la visionaria direzione di Tonu Kaljuste e brani di Arvo Part. Compositore estone, nato a Paide nel 1935, da sempre legato al nome di Henryk Gorecki per la spazialità delle sue composizioni. Sbagliano coloro che fanno di Part un cantore della “semplicità”. Anzi, semplice è colui che ha attraversato i nodi complessi dell’esistenza per raggiungere una sempre maggiore coesistenza tra Arte e spirito. In “Adam’s lament” è questo che interessa: la porzione del tempo che si sbriciola nella cadenza dell’umanità tribolata. E che cerca, seppur a tentoni, la pace. Il testo, dunque, rappresenta l’oggetto e la struttura. Le poesie di Staretz Silouan (monaco del Monte Athos), la “Salve regina” composta per il vescovo della Cattedrale di Essen, “Beatus Petronius” e “Statuit ei Dominus” scritte in occasione del 600esimo anniversario della Basilica di San Petronio di Bologna. Ma anche la “Alleluia-Tropus” (su testi della liturgia cristiana devota a San Nicola di Bari), “L’Abbé Agathon” per riscoprire le origini del monachesimo cristiano e le due ninnananne delle quali dice, Part: «Sono piccoli pezzi di un Paradiso perduto. Una piccola consolazione mischiata al sentore di profondità e intimità. Ho scritto queste due ninnananne per gli adulti e per i bambini che sono in ciascuno di noi».
“Minimalismo sacro”, dunque. Il narrare lento che proprio in “Adam’s Lament” rielabora la drammaticità di Wolfgang Amadeus Mozart con la trasparenza di Giovanni Battista Pergolesi. Il napoletano morto all’età di ventisei anni con un lascito di “santità musicale” conservata nel suo Stabat Mater. «Lavoro con pochissimi elementi: una voce, due voci», dichiarò tempo fa il compositore estone. «Costruisco con i materiali più primitivi, con una specifica tonalità. Tre note di un accordo sono come campane. Ed è perciò che chiamo questo tintinnabulazione». Armonie essenziali e silenzio, perché in quest’ultimo sono raccolti tutti i suoni non ancora uditi. Un disco meraviglioso, un setaccio che sgretola il nichilismo contemporaneo e che si pone – ancora una volta – come punto fermo nella ricerca dell’uomo stanco di rincorrere le false chimere di un mondo divorato da se stesso.
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