“Ma che politica, che cultura?”

Note a margine dell'incontro «Varese è cultura?» promosso dal mondo culturale varesino

Queste sono le parole che Edoardo Bennato diceva più di trent’anni fa quando cantava “Sono solo canzonette” per ironizzare sul rapporto tra arte e politica: parole su cui credo vada fatta più di una riflessione da parte di chi ritiene che la cultura sia solo qualcosa legato allo svago di qualcuno e non il fondamento anche di grandi cambiamenti dei territori e della società.Il dibattito di ieri è stato interessante e ha evidenziato delle differenze piuttosto chiare tra i diversi schieramenti nonostante tutti si dichiarino, ovviamente, “a favore della cultura, dell’intervento dei privati, della cultura come parte dello sviluppo anche se bisogna fare i conti con la crisi”.
Mi pare però che si sia tralasciato un punto fondamentale che, pure, è stato chiaramente richiesto da alcuni degli operatori culturali presenti in sala e che credo sia l’elemento in grado di fare la differenza: cioè l’esigenza di una regia istituzionale.
La differenza sta proprio nella natura di questa regia ed è qui che si gioca la vera partita.
La quasi totalità degli interventi si è concentrata sulle risorse regionali per la cultura che, come è stato ben ricordato, sono state drasticamente tagliate. Ma il tema del sostegno alla cultura – e, soprattutto, quello delle “regie” – ha a che fare solo in parte con i finanziamenti esplicitamente diretti alla cultura.

Vale a pena di fare qualche esempio: quando la città di Bilbao ha deciso di riscattarsi dal suo
inesorabile declino di città industriale vecchia e sporca, il Comune e la Regione hanno associato un forte piano di marketing territoriale incentrato sulla cultura in cui si sono riqualificati interi quartieri, creati spazi pubblici, defiscalizzato l’insediamento di officine creative, formato persone, organizzati concorsi internazionali, fatti accordi con artigiani e commercianti e molto altro. Solo così si sono create le condizioni perché fosse edificato quel capolavoro che è il museo Guggenheim progettato da Frank Gehry che,a sua volta, ha poi trainato un nuovo settore di industria creativa.

Analogamente Mercedes Bresso, prima da presidente della Provincia di Torino e poi della Regione Piemonte, ha avuto un ruolo centrale nella costituzione del distretto della cinematografia del Canavese fin dalla fine degli anni ’90 e dal Patto Territoriale con il quale si sono fatte infrastrutture, fondato scuole, cablati interi territori, centralizzata l’informatizzazione di archivi e musei e, anche qui, molto altro.
Vale la pena di ricordare che, negli stessi anni, Milano e la Lombardia hanno visto il lento
smantellamento della sede RAI – “orgoglio padano” – e la delocalizzazione di molti studi di
produzione. Ora a Torino si sta producendo una soap opera ambientata a Milano…

O, ancora, la valorizzazione della Via Francigena dalle Alpi fino a Roma in Lombardia ha visto poco più che una serie di eventi e di cartellonistica che si è velocemente degradata dopo gli anni di interessamento a cavallo del Giubileo del 2000. Diversamente, le Regioni del Centro Italia hanno lavorato per una sistematica promozione dell’ospitalità diffusa, per la creazione di carte sconto unificate per i servizi al turista, per la sistemazione dei sentieri in accordo con associazioni locali, ecc.

Gli esempi sono molti: tutti dicono che il ruolo di “regista istituzionale” è essenziale per fare
passi decisi e solidi nel tempo. Ma questo ruolo di regia non lo si gioca solo chiarendo i criteri di assegnazione dei fondi all’interno di un unico quadro, ma utilizzando la cultura come punto di vista per fare anche altro. Ed è questo “altro” che consente agli operatori culturali di non vivere ma di potere guadagnare, investire e trovare investitori.

Che si tratti di beni o paesaggi culturali come fondamento dell’identità come “patto in divenire” – (come non ricordare Salvatore Settis?) o di promozione dell’industria creativa giovanile e internazionalizzata, la questione è sempre la stessa: la cultura non si promuove solo dando soldi a chi fa cultura – cosa, peraltro, sacrosanta – ma creando progetti sul territorio di ampio respiro e dando garanzie istituzionali.Ancora, è curioso che un’azione di questo genere in Lombardia venga portata avanti non dalla
Regione ma da Fondazione Cariplo che sta promuovendo e sostenendo sei Distretti Culturali creati dopo un processo di selezione e messa a sistema in cui si sono investite intelligenze prima ancora che soldi. E bisognerebbe chiedersi perché, di questi sei distretti non ce ne sia neanche uno in provincia di Varese.
Che dire, quindi?
Da un lato salta all’occhio la differenza tra i 9 milioni di euro all’anno che questa Giunta Regionale dedica alla cultura (e che verranno ridotti ad un terzo entro il 2015) e il “miliardo del Presidente” di cui Formigoni dispone per integrare senza tanti vincoli di Consiglio il già sovradimensionato bilancio della sanità.
Dall’altro quello che veramente manca è la comprensione di base dei meccanismi che, dovunque, creano il brodo di coltura entro il quale possano germinare iniziative culturali pubbliche o private che siano. Quello che serve è, “semplicemente”, un’istituzione. Cioè una base a partire dalla quale integrare tutto ciò che si può integrare a partire da una visione di futuro costruita con tutti i soggetti del territorio e che costituisca una garanzia per chiunque voglia operare.
Altrimenti si dipende solo da bandi e finanziamenti che subiscono le fluttuazioni del mondo e le volontà – o non volontà – del politico di turno.

Andrea Calori
Capolista per la provincia di Varese per la lista “Patto Civico con Ambrosoli Presidente”

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Febbraio 2013
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