Martina (Etico). “Il lavoro sia vero lavoro”
Intervento del candidato di sinistra
Nel giro di pochi anni il continuo peggioramento delle norme sulla flessibilità del lavoro, invece che rilanciare occupazione e sviluppo hanno delineato due aspetti fondamentali: l’uno ci parla di quale modello imprenditoriale è venuto avanti, l’altro delle ricadute materiali per i lavoratori.
La precarizzazione dei rapporti di lavoro aveva lo scopo (ed effettivamente lo ha avuto) di fornire una boccata di ossigeno ad un sistema di imprese già in grande affanno, attraverso l’abbassamento generalizzato del costo del lavoro. Ma questi “risparmi” hanno di fatto garantito solo l’aumento dei profitti per i padroni, almeno fino a quando il nostro Paese non é precipitato nella crisi economica. Il modello imprenditoriale italiano non ha reinvestito gli utili nel ciclo produttivo ma ha preferito introdurli in quelle speculazioni finanziarie che hanno accelerato la attuale crisi economica.
Sul versante del mondo del lavoro, se consideriamo che in 25 anni il 10% del PIL si é spostato dal lavoro verso i profitti, appare evidente come la precarietà abbia ormai mortificato intere generazioni di lavoratori ed avviato una spirale negativa per cui oggi le giovani generazioni non rientrano nemmeno più nella casistica del lavoro precario, perché semplicemente senza lavoro (35%) e peggio ancora senza futuro, specie se si considera il pericoloso continuo aumento del dato degli inoccupati, cioè di coloro che, persa ogni speranza, il lavoro non lo cercano nemmeno più.
Dalla crisi si esce restituendo speranza, fiducia e futuro ai giovani, che tradotto significa solidità economica: lavoro stabile e reddito certo. Non c’é possibilità di futuro se si continua con le politiche di riduzione del costo del lavoro che agisce solo e unicamente sul costo della manodopera, perchè si finisce per azzerare la capacità di spesa e si mortificano i consumi. C’é invece grande necessità di investimenti in ricerca e innovazione per un modello di sviluppo compatibile e capace di affrancarci, con processi e prodotti, dalla competitività al ribasso con i Paesi emergenti, con le nuove economie, sia asiatiche che del continente sud americano.
I nostri giovani hanno le conoscenze e le intelligenze necessarie, gli imprenditori, se tali ancora sono, smettano di chiedere “provvidenze”, e ritornino a fare il loro mestiere: investano cioè parte consistente dei loro profitti in ricerca e innovazione, visto che, fra i paesi maggiormente industrializzati, sono quelli che spendono meno sul versante degli investimenti. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Il diritto al Lavoro è “diritto di tutti”: oggi sono sempre meno i giovani che lavorano, ancora meno le donne, irrilevante il numero dei disabili. Questa è una ingiustizia, una discriminazione, uno spreco immenso di risorse umane, una imbarazzante imbecillità politica, economica e sociale. Un Paese così è un paese senza futuro.
Ed allora basta con le politiche di austerity, con la preoccupazione dei conti in ordine e dello spread che son parametri funzionali solo alla grande finanza ed alla speculazione.
Dobbiamo invertire la rotta con un piano per il lavoro a garanzia di un reddito stabile per tutti nel pieno rispetto di quella Carta che costituisce ancor oggi il cemento del nostro Stato.
C’é un grande bisogno di rispolverare quel mondo valoriale che un tempo chiamammo Giustizia sociale.
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