Colaprico: “Giornalista per informare, scrittore per intrigare”
Le due facce dell'arte della narrazione raccontate dal grande cronista di Repubblica
«Volevo fare lo scrittore. Da ragazzo, a quattordici anni, volevo vivere come Bulgakov. A diciassette scrivevo, leggevo Dostoevskij, e poi rileggevo i miei scritti e li buttavo via. Sono rimasto un grande lettore e per un po’ mi sono, diciamo, adagiato nel giornalismo». Le parole, quelle degli articoli di nera come quelle delle pagine dei libri, sono diventate la costante nella vita di Piero Colaprico, cronista di punta del quotidiano La Repubblica e anche giallista di successo. "Mestieri" narrati con buona dose di ironia questa sera a Villa Recalcati dove l’autore è stato intervistato dai giornalisti del Corriere della Sera, Claudio Del Frate e Franco Tettamanti, aprendo ufficialmente il ciclo di appuntamenti del Festival Del Racconto.
«Devo la mia assunzione alla nevicata dell’85 (che è anche il titolo di uno dei suo romanzi, ndr) anche se la svolta nella mia carriera è stata segnata dall’arrivo a Repubblica di Oreste Del Buono. I primi libri di successo sono arrivati invece anni dopo grazie alla collaborazione, che poi si è trasformata in vera amicizia, con Pietro Valpreda». Una sintonia, quella tra i due, che ha permesso la nascita della fortunata serie del maresciallo Binda, portata avanti dall’autore anche dopo la morte dell’anarchico milanese. Di lui il giornalista si definisce una sorta di «traduttore»: «ho cercato – confessa – di usare il mio stile per interpretare il suo pensiero. Un po’ come si fa con i grandi autori stranieri».
La carriera di Pietro Colaprico è proseguita negli anni sui due binari: cronaca e romanzo. Due mondi che per lui «non sono necessariamente complementari». Il passaggio dal reale alla finzione è anche questione di stile: «Nella cronaca ciò che si scrive deve essere aderente alla realtà. L’idea è quella di prendere il lettore per mano e di accompagnarlo con sè a vedere luoghi e conoscere fatti. È un comportamento amichevole. Nella scrittura ciò è ben diverso. Il mio obiettivo non è quello di fare chiarezza ma di sedurre e intrigare. È un diverso sentire. Nella scrittura sono io che conduco il gioco». E chi conduce il gioco è anche colui che pagina dopo pagina riassembla i pezzi della storia scomposta: «Viviamo in un mondo frammentato e segnato dal precariato, nel lavoro e negli affetti. Credo che il successo del giallo oggi in Italia sia legato anche e a questo. Il detective, risolvendo il caso, crea l’ordine e lo regala al lettore. Dura poco ma in un certo senso ci riconcilia anche con l’esterno».
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